Poipet border Thailand Cambodia

Il sorriso della Cambogia

Attraversare una frontiera piedi è tra le cose migliori che possano capitare nella vita di una persona.

Poipet border

Diciamocelo, sono arrivata in Cambogia via Bangkok essenzialmente per risparmiare un po’, che si sa che i voli per Phnom Penh costano di più, e in effetti ci ho guadagnato tantissimo.

Potrebbe sembrare una gran scocciatura quella di scendere in terra thailandese, passare il controllo passaporto, andare a fare il visto, passare un altro controllo e lasciare le impronte-digitali-tutte-e-dieci, andare ad aspettare una navetta per finire su un altro piazzale, e finalmente si può ripartire.

Invece no.

E’ proprio quando si attraversa la zona franca per andare a prendere la navetta che si fanno quattro conti; se ci si pensa forse non è zona franca solo perché c’è una dogana, è zona franca anche per i sentieri quelli meno esposti, che in genere preferiscono starsene all’ombra.

Uno esce dalla casupola in lamiera con lo zaino sulle spalle e un paio di cose abbastanza chiare nella testa, e quando va avanti un po’ ecco che quel paio di cose iniziano a fare casino.
Ai bordi della strada polverosa qualche casinò in technicolor, artificiale come una pubblicità di cicche giapponesi, in mezzo una nuvolaglia di persone che trainano, friggono, trafficano.

Da dietro le livree degli apriporta spuntano mani del colore della terra che chiedono qualcosa, dai marciapiedi saltellano bambini che provano a vendere quello che la sorte gli ha passato per questa vita.
E’ un formicaio di quelli che si appiccicano addosso e non è per il caldo umido che neanche la polvere si alza dalla terra battuta perchè preferisce rimanere lì, accasciata per la spossatezza.

E’ qui che si inizia a sentir prudere ed è proprio insieme al prurito che si grattano via quel paio di cose che pareva di aver inquadrato della vita.
E’ qui che ci si accorge che questo pezzo di umanità dove ognuno ha un perché anche se pare messo lì per sbaglio una sua divisa ce l’ha, uguale per tutti: il sorriso della Cambogia.

<3

Ora io ho continuato per la mia strada col prurito sempre addosso e una domanda di quelle che la risposta non arriva: ma che si ridono questi?
Lo sanno tutti che è quello dei thailandesi il popolo del sorriso, che alla nascita gliene danno in dotazione uno per ogni occasione e il problema è mettersi d’accordo su quanti ne hanno in tasca in fin dei conti, che su sta cosa ognuno dice la sua. In Cambogia invece di sorriso ce n’è uno solo, unico, almeno per quello che ho potuto vedere, e non si trova in nessun’altra parte del mondo.

Sam

Davvero giuro, di tutti i posti in cui sono stata non ho mai visto un sorriso uguale a questo.
Non lo so descrivere, mi arrendo perché è da vedere, ma sono certa che chi lo vede non può non riconoscerlo e scommetto che chi l’ha già visto sa bene di cosa parlo e un sorriso l’ho strappato pure a lui adesso.

Capirlo è un altro paio di maniche ancora.

Un suggerimento mi è arrivato andando per templi con Sam, la guida cambogiana che a 27 anni di vite ne ha vissute almeno tre di quelle normali.

Il cambogiano ha quel sorriso perché è stanco di piangere.
E’ il sorriso della Cambogia, non c’è altro modo per chiamarlo, è il sorriso di chi ha perso tutto e non gli resta che sorridere.

Ma come dice Sam, il passato è passato, adesso è un’altra storia.
Qui per essere “happy forever” bastano quattro lamiere da chiamare casa e la vita è bella così.

Non lo so spiegare che cosa c’è in quel sorriso, il sorriso di una nazione intera, che qui non si tratta di generazioni che sono state o che verranno, qui si tratta di qualcosa che non andrà più via, è l’eredità di un popolo, un popolo che è stufo di piangere.

Ma è dal fango che nasce il loto, e forse la risposta che non arriva bisogna iniziare a cercarla proprio qui.

Lotus flower. Picture taken in Phnom Penh Royal Palace

31 pensieri riguardo “Il sorriso della Cambogia”

  1. Passare un confine a piedi è sempre una sensazione unica! La mia prima volta fu dall’Argentina alla Bolivia e ancora ricordo le emozioni fortissime che provai. Poi ne sono venuti svariati altri, e Poipet è stato uno dei più emozionanti…ricordo il brulicare di vita su quella rotatoria subito fuori dalla zona franca…e le donne in pigiama in 4 sullo scooter.
    Il ritorno invece fu faticosissimo: 6 ore di fila!!!

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    1. Sì, una frontiera da attraversare a piedi è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita 🙂
      Ho ben presente la rotonda che dici, mi sono piazzata lì ad aspettare la navetta per il parcheggio…è vero, è emozionante!
      E sai che la Bolivia è uno dei posti che voglio vedere? Mi hai appena dato un ottimo consiglio 🙂

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      1. La Bolivia è un posto che si consiglia da solo, è meravigliosa 😀
        Tu invece mi hai dato un’idea per un futuro post: le situazioni curiose e interessanti viste passando le frontiere a piedi ^_^

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  2. Brava, Cabiria, mi piace questa tua descrizione del popolo cambogiano, attraverso il sorriso. Ho provato le stesse cose qualche anno fa ed ora aspetto le tue sensazioni da Phnom Penh. Sai che, più o meno per ora abbiamo fatto lo stesso percorso? Anche noi entrammo in Cambogia via terra dalla Thailandia. Facemmo prima Battambang e poi Siem Reap e da lì giù a Phnom Penh, per poi finire sulla costa e quindi risalire al confine Thai fino a Trat e poi di nuovo BGK. Continua a scrivere, rivivo con te uno dei miei viaggi più appaganti. Ti abbraccio Susanna

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    1. Grazie per il tuo commento Susanna!
      In effetti il giro è più o meno quello, e anche le sensazioni, a quanto pare 🙂
      Promesso, continuo a scrivere, che qui gli spunti davvero non mancano!

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      1. Io passai a piedi il confine a sud con la Malesia … Ma di lá sorrisi pochi, il Kelantan é la zona più integralista , anzi, bei grugni direi.

        Belle le frasi sul sorriso, a volte sono più ricchi loro di noi …

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