Agra moschea cabiria magni

Agra il giorno di Natale

Uno legge Agra e subito pensa: ok, il Taj Mahal.

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Taj Mahal

No, dai!

O meglio: un po’ sì, per forza, ma l’Agra che voglio raccontare oggi è quella che ho vissuto nella mia personalissima maniera, il giorno di Natale.

Ci sono arrivata il 24 di Dicembre mentre le luci si stavano spegnendo, con un cenone di Natale travestito per l’occasione da paneer affogato nel curry, ma l’incontro vero è stato quello del giorno dopo, il giorno di Natale appunto.

Non sono maniaca dei numeri (beh, insomma), ma qui la data va sottolineata perché credo che ci abbia messo del suo.

Il giorno di Natale un musulmano mi ha detto Merry Christmas con un accento nuovo, mentre un cammello mi passava dietro alle maniche corte.

Più della meraviglia, che a stupirsi si fa sempre in tempo, di Agra ho apprezzato le sfaccettature, quei piani diversi che ognuno va un po’ dove gli pare, e all’inizio lasciano interdetti.
Poi ci si scivola dentro con un po’ di ingenuità e si capisce che un senso forse c’è.

Beh, capire è un parolone.
L’India non si capisce mai troppo e Agra nemmeno, ma diciamo che mi è piaciuto passarci in mezzo e guardarmi attorno.

Cos’ho visto?

L’Agra della facciata

Quella da cartolina, il bel muro lucido che distrae e fa credere che sia tutto lì. Non che quel tutto sia poco, però insomma.

Agra affascina con uno dei colpi d’occhio più imponenti che si possano immaginare, quel monumento all’amore che più ci si avvicina più ci si accorge che per descrivere certi luoghi non si trovano mai le parole, anche ad averli visti centinaia di volte in foto.

Beh, meno male, così adesso anche se non vi dico niente sapete di cosa sto parlando.

L’Agra del marasma

E’ quella che sta dietro il marmo, che si vede quando si sposta la cartolina.

Ad Agra di lucido c’è ben poco, quello che abbonda è un formicolio che a chiedere qualcosa in più ti dicono di lasciar stare, è più il fastidio.
E’ il Kinari Bazaar.

Quando l’ho nominato, il driver mi ha guardata strano e mi ha detto “ma no, che ci vai a fare? Gli stranieri non ci vanno.”
Eh, se mi dici così, secondo te che faccio.

Il Kinari Bazaar è un marasma come mi è capitato poche volte di vedere: strade strette, gonfie di bancarelle e di persone. Urla che si infilano nelle orecchie e sguardi che si infilano sotto la felpa anche a calcarsi il cappuccio in testa.
Non si capisce dove finisce una persona e inizia l’altra, è soffocante, ma ne vale la pena: per come la vedo io, è proprio questa l’Agra che fa la differenza.

Quando affronto questo genere di situazioni cerco sempre di farlo in punta di piedi, consapevole del fatto che comunque vada darò fastidio, e mi porto appresso una buona dose di disagio: fa gran bene, mi tiene con i piedi per terra.

L’Agra del silenzio

Quando finalmente si riesce a buttare la testa fuori dal formicolio e a prendere una boccata d’aria, si scopre che Agra può essere anche silenzio, e che vale sempre la pena di sfondare il muro del pulito (scritta così sembra quasi lo spot di un detersivo) e buttarsi dentro il marasma se dall’altra parte c’è uno spettacolo del genere.

Nel mezzo del bazaar mi sono ritrovata davanti ad una scalinata mezza diroccata che portava alla moschea, Jama Majid, come quella di Delhi: ho salito i primi gradini passando in mezzo ad una coppia di mendicanti, e arrivata in cima mi sono tolta le scarpe.

Questi posti non hanno cancelli, ma chissà come mai la vita che si calpesta tutti i giorni rimane chiusa fuori.

Mi sono seduta su un muretto che correva lungo il cortile, mentre il sole andava a nascondersi dietro il minareto e gli ultimi fedeli indugiavano tra abluzioni e inchini.
Ho infilato la giacca, e davanti a tanta devozione mi sono ritrovata a pensare alla domanda che mi avevano fatto la mattina, poco prima del Merry Christmas che non mi aspettavo: “ma tu sei cristiana?”

Stavo davanti ad una moschea senza capirci troppo di quei rituali (beata ignoranza) ed ero in pace: forse non è sempre così importante trovare questo genere di risposte.
Ho ricacciato la domanda nello zaino: ci sono momenti in cui l’unica cosa che conta è un bel tramonto da guardare senza fare troppo rumore.

Messa così sembrerebbe quasi una metafora della vita, e invece no, è soltanto una giornata ad Agra.

9 pensieri riguardo “Agra il giorno di Natale”

  1. Come sempre ci sono dei passaggi che sono evocativi, lasciano da parte le “solite” indicazioni di viaggio e si fanno poesia…ho anche sognato l’India questa notte.

    Ci dobbiamo trovare!

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  2. Il bambino che è sempre in me sperava in un tappeto volante, un fachiro sul letto di chiodi, un cobra ondeggiante…ma tu parli di silenzi nei tramonti, di domande riposte nello zaino, di rituali incomprensibili e di pace… mi stai provocando.. e allora ti dico questo: cerca il denominatore comune a tutte queste sensazioni . Quella pace , quel silenzi interiori che hai provato molte volte , non solo ad Agra ma anche in situazioni e posti molto diversi. Non la differenza apparente di ciò che è visibile ma quello che provi tu,quello che arriva a te. Quella è la strada da percorrere con tante domande e tante risposte. Alla fine troverai una sola domanda e una sola risposta. Le tue.
    Ed è per questo che non posso essere meno criptico: perchè le devi trovare tu…. l’hai visto il film “vita di Pi”?…. Ti leggo sempre con piacere e curiosità. Ciao.

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    1. Anche io ti leggo sempre con piacere, e con piacere mi porto appresso i tuoi spunti 🙂
      Non ho visto “Vita di Pi” e a quanto pare ora ho una buona ragione per farlo.
      I fachiri e i tappeti ce li tratteggiamo da noi, con il nostro modo di guardare al mondo: sono convinta che la meraviglia stia prima di tutto dentro, lo stesso per la magia.
      Quanto alle domande…hai ragione, alla fine è lA domandA, perché tutte le strade portano lì: per ora mi piace tenerla nello zaino e collezionare silenzi da ascoltare 🙂

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