Pushkar Rajasthan India

Byron Bay, Ubud, Pushkar: trilogia del freak

Ci sono posti che si fissano nell’immaginario comune come delle mete mitiche, poi uno ci va e scopre che in effetti è vero.

Spesso in realtà quello che si scopre è che non c’è un beato niente di tutto quel mitico che ci si aspettava, ma alla fine non importa più.
Che sia forse questa la vera magia? La capacità di occupare uno spazio speciale a prescindere?

Mi sono imbattuta in tre di questi posti tra il mitico e il mitologico, e credo che la mia vera fortuna sia stata quella di averli visti in tre età diverse, e qui non c’entra niente l’anagrafe.

Cape Byron, Byron Bay, Australia
Cape Byron, Byron Bay

Byron Bay, vissuta nel momento in cui ero forse un po’ troppo distratta per togliere il velo alle illusioni, nella fase in cui tutto quello che sta attorno è meraviglia, ma quella meraviglia da pigri: per trovare la meraviglia vera tocca sfondare la facciata di quella finta, e poi portarsi via tutte le macerie.

Ubud, incontrata per la prima volta quando ero nel mezzo della ricerca, o se rimaniamo nell’edilizia, mentre con la carriola portavo via le macerie, che la facciata ormai era caduta. Ma c’era un bel marasma in giro.

Pushkar, conosciuta a lavori ultimati, con le famose macerie ormai riciclate e diventate fondamenta nuove, che se c’è una cosa che si impara dai casini è che non si butta mai nulla perchè tutto ha un senso, basta avere voglia di cercarlo.

Ma lasciamo perdere quella che scrive, che di macerie ne crea in continuazione e ha il suo bel da fare ancora oggi.

Si parlava di posti.

Trilogia del freak mi è venuto perché questi tre fantomatici posti sono mete da fricchettoni, di quelle che solo a sentire il nome viene in mente un’atmosfera un po’ psichedelica, e si vedono subito frotte di hippie coi capelli al vento che se ne vanno in giro offrendo amore a piedi nudi.

Qua e là ho già parlato dei miei vari incontri con la trilogia del freak, e il denominatore comune, nonostante le varie sfumature disegnate dalle diverse età, è sempre lo stesso: ho fatto un po’ di fatica.

karma ubud library
Occhio al karma! Sei a Ubud.

Questi tre nomi se ne stavano appesi nel mio immaginario come un poster di Dylan di Beverly Hills nella camera di una teenager degli anni Novanta, e come spesso succede in questi casi che sfiorano l’idolatria, lo scontro con la realtà può rivelarsi delicato quanto un frontale in autostrada.
La differenza la fa sempre il modo in cui se ne esce, a uscirne.

Byron Bay è stato l’unico posto in Australia dove mi è capitato di fare una coda in macchina (si parla di 10 minuti, non pensate alla nostra A1 il primo sabato di Agosto), l’unico posto dove ho percepito della forzatura in un continente che mi è sembrato libero da vincoli e pregiudizi di ogni sorta: tutto vegan, tutto New Age, tutto yoga.
Tutto troppo!
In questi casi il rischio è quello di diventare delle macchiette con poco da dire.

Eppure Byron Bay l’ho amata e sapete perché?
Perché quando l’ho vista pioveva che dio la mandava, e in situazioni come quella, con una forte perturbazione che batteva tutta la costa tra Sydney e Brisbane, la natura torna a prendere il timone in mano. E guida lei.

Ho amato camminare a piedi nudi (è un vizio che mi porto appresso da un po’) per le vie allagate del paese, lavarmi da capo a piedi e diventare pazza per chiudere la macchina fotografica dentro un sacchetto di plastica di Cole’s, che altrimenti ciao.
Ho amato salire al faro e godermi quelle onde che sembravano arrabbiate col mondo intero.
Con buona pace dei fricchettoni e dei beveroni organici che fanno figo solo a tenerli in mano.

Con Ubud è stato diverso: forse perché quando ci sono stata non pioveva?
Battutacce a parte, anche a Ubud è tutto troppo, e il filone è sempre quello: New Age, meditazione e compagnia bella, che io mi chiedo come diavolo faccio a rilassarmi se il relax pare quasi un obbligo.
Qualcuno bravo me lo spieghi, per favore.

Con Ubud è stato diverso perché ero diversa io, funziona sempre così, e quando la contraddizione mi è saltata all’occhio sono stata meno disposta a perdonargliela (ne parlo meglio qui); ma forse non gliel’ho perdonata nemmeno ora, tant’è che il mio rapporto con questo posto non si è evoluto più di tanto.

E’ innegabile, chi va a Bali un salto qui deve farlo, è che personalmente c’è ancora qualcosa che non mi convince, e anche qui non c’entrano nulla gli aspiranti fricchettoni, che in alcuni casi sono solo dei tentativi talmente esasperati da riuscire a strappare perfino un sorriso.

Pushkar l’ho attraversata col pavimento libero dalle macerie, e il bello del nostro incontro è stato proprio questo: ci siamo guardate in faccia senza troppi gingilli addosso, ognuna col proprio carico di brutture ben dichiarato.

Mi è piaciuta?
No.
E pensare che prima di partire dicevo che avrei voluto fermarmici almeno una decina di giorni, ma questo è l’effetto Dylan, l’ho capito solo dopo.

Non è che fa schifo, intendiamoci, e tra l’altro le foto più “fotogeniche” (si dice?) del mio viaggio nel Rajasthan le ho fatte proprio qui: sono le foto dell’India che ti aspetti, quella che vendono sui volantini in agenzia.
Sono piene di colori, e quei giorni c’era pure una bella luce a dare una grossa mano.

Pushkar Rajasthan India
A Pushkar anche la cartaigienica è fucsia, e ti sorride.

Pushkar è quel posto che se ti fermi nel bar giusto a fare colazione riesci anche ad immortalare un velo che svolazza dal tetto agitando atmosfere da mille e una notte, e allora vai di India dei sogni: hai la tua cartolina da postare, buona per prendere un po’ di like.

Ma io non stavo cercando quello.

A Pushkar mi hanno chiesto una spontanea offerta di 2000 rupie per sacrificare a Brahma, con tanto di raccomandazione: paga, altrimenti il dio si incazza e vedi che casino (al momento sono intera, dita incrociate).
A Pushkar però ho scritto uno dei pezzi a cui sono più affezionata, che magari non è il più bello, ma com’è venuto fuori quello dalla penna ne sono usciti pochi: io non stavo cercando, ma forse qualcosa ho trovato.

Forse il segreto è questo, lasciarsi incantare dal sorriso smagliante di Dylan, ma fino ad un certo punto.

Va bene la suggestione, ma poi forse si tratta di scoprire quello che sta dall’altra parte del muro, che sia il muro del poster oppure quello da demolire perché le macerie magari tornano buone per costruire altro.

[E voi avete qualche luogo mitico appeso da qualche parte nei vostri desideri?]

31 pensieri riguardo “Byron Bay, Ubud, Pushkar: trilogia del freak”

  1. Molto probabilmente quando ho visitato Byron Bay e Ubud non ero con il tuo stesso stato d’animo ma …sono d’accordo con quello che scrivi, non sopporto di vedere tutta sta gente uguale che fugge dagli schemi e poi si trovano a fare tutti le stesse cose e vestiti tutti uguali…tutti i impegnati a sembrare frikkettoni (o lo sei o non lo sei!! non basta un pareo ed un bibitone organico per diventarlo)…(fine dello sfogo).
    …mi manca Pushkar!! (mah!)

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      1. mi ero fatto un altra idea di Pushkar….adesso ho paura di trovarmi gli stessi personaggi che incontrai a Byron!! 😦
        p.s. buon viaggio per NY aspetto i tuoi posts, io ci torno a giugno per l’ennesima volta.
        buona giornata
        .max

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      2. No, dai, Pushkar è da vedere! Anche io ero partita con un’altra idea, ma alla fine ci sta come posto (per quanto mi riguarda, basta una notte, due al massimo).
        Io a New York sono nuova, se hai suggerimenti spara: ben accetti!!
        A presto 🙂

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      1. Ho letto il post..pensato…letto il commento di Patrick..ripensato..e mi sono risposta: Esistono posti sbagliati? … Poi ho letto la tua di risposta…Esistono luoghi sbagliati? .. Sono d’accordo, i posti sono sempre gli stessi, siamo noi che possiamo cambiare e viverli in modo diverso..a volte da mattone, a volte da macerie, a volte da muretto, saldo o sgretolato.. Bel post Cabiria..la nostra Ubud mi ha fatto sorridere 🙂

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      2. Grazie Cristina 🙂
        Sì, i posti siamo noi forse, e forse è anche per questo che quando ci si ritorna regalano sempre qualcosa di nuovo.
        Ubud è bella anche perchè è così, no? 😉

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  2. L’ho letto, ci ho pensato (ho anche mangiato nel frattempo) e sono tornata qui. Posso parlare per Byron.. è troppo. Esattamente. E siccome io sono un po’ malfidata questo “troppo” mi stuccava. E poi nel momento in cui ti distrai e sei pronta a dire che “non ne vale la pena” ti arriva il palo. Byron esce con tutta la sua potenza.

    Bello Cabi. Anche se vai a NY, rimani sempre la stessa! 😀

    Ps. Dylan ci stava tutto!

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    1. Grazie Lucia!!
      In fatto di Byron tu sei un’autorità, non si scappa!
      Ho preso la mazzata pure io laggiù, quel faro in qualche modo per me ha fatto da boa, ma l’ho capito molto dopo.
      Nonostante NY rimango sempre la solita scappata di casa, che scherzi? Ormai sono troppo anziana per mettere la testa a posto!
      Un abbraccio 🙂

      [Dylan era il top, anche se il suo poster non l’ho mai avuto!]

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  3. Bellissimo come sempre 🙂
    E su una cosa hai pienamente ragione: ha tanta influenza il modo in cui osserviamo le cose e soprattutto quello che abbiamo dentro nel momento in cui lo facciamo.

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    1. Grazie Marika 🙂
      Sì, credo che a fare la differenza siano sempre le persone, nei loro particolari momenti.
      Gli stessi posti mostrano volti completamente diversi, e nessuno è quello sbagliato 🙂

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  4. Nei prima due luoghi mi ritrovo…in zona Byron poi ho trascorso più di due mesi…anche io in cerca di illusioni, poi dopo sono venute tante macerie, e qui ci vorrebbe una lunga storia 🙂
    Complimenti!

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