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In viaggio coi pirati delle rotaie.

Oggi voglio parlare di quel gruppo di viaggiatori che in genere non si fila nessuno, quelle persone che tutti i giorni prendono un treno per andare al lavoro.

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Saggezza del pendolare

Da circa 15 anni, che se ci penso è praticamente metà della mia vita, frequento la famigerata Milano-Carnate: più che una tratta è una scuola di sopravvivenza.

Il racconto di oggi inizia a Lecco, con un guasto che paralizza la stazione: la disgrazia si ripercuote fin sotto la veste di Sant’Ambrogio, come una scintilla che sfugge e in un attimo diventa incendio.
Quando Trenord deve fare casini, ci mette l’anima: un numero indefinito di treni viene cancellato, e un numero altrettanto indefinito di pendolari viene abbandonato al suo destino.

A Garibaldi la folla schizza per la stazione come una pallina dentro a un flipper: segue l’incanto delle voci degli altoparlanti, che regalano numeri di binari buoni solo da giocare al lotto.

Una volta trovato il treno, inizia la sfida vera: la conquista di un posto a sedere.

Si aprono le porte e l’ingresso in carrozza è di quelli che spengono l’entusiasmo sul nascere: i 57 gradi della lamiera sono troppi per esultare, anche con un agognato sedile sotto al fondoschiena.
Il trionfo si trasforma nel rassegnato abbandono ad un abbraccio di plastica, di quelli che incollano gambe e vestiti.

Man mano che la massa entra, i posti si riempiono, in rigoroso ordine gerarchico.

Prima i posti a sedere, riservati a quelli che ce l’hanno fatta. Non è sempre questione di merito, va detto, che tempismo e fortuna alle volte sono tutto nella vita.
Poi i posti-corridoio, per quelli che si sono visti sorpassare al fotofinish e che hanno mancato il sedile di un niente: il loro premio di consolazione è la possibilità di attaccarsi a un qualcosa durante il viaggio (ecco, appunto, si attaccano).
Da ultimo i posti-ingresso, ovvero la bocca dell’inferno, punizione per tutti quelli che sono stati troppo lenti, o che sono arrivati all’ultimo minuto. Solo per gente che ha un certo fisico, o che sta sull’orlo della disperazione nera.

Il treno parte, la lamiera strizza l’occhio a rotaie che se potessero si scioglierebbero sotto il peso del dolore altrui.

La prima tappa è Milano Greco Pirelli.
In stazione un’altra orda inferocita preme per entrare, in barba ad ogni legge della fisica, fino a quanto, esanime, deve dichiarare la resa.
Si passa all’intimidazione. I finestrini, spalancati come solo la bocca nell’Urlo di Munch, vengono presi d’assalto, e gli occupanti dei posti-corridoio vengono insultati: si rifiutano di compattarsi come un tetris, negando un barlume di spazio agli altri martiri metropolitani.

Quelli che stanno dentro non sanno più come stringersi: qualcuno si offre di prendere in braccio il vicino, qualcuno tenta di chiudersi in bagno, non basta mai; quelli che stanno fuori invece vedono solo degli strafottenti che non mollano un centimetro e che anzi, se solo potessero aprirsi una sdraio, ordinerebbero una pina colada con tanto di ombrellino a sfregio.

In aiuto del treno e dei suoi passeggeri arriva l’altoparlante, metallico deus ex machina: la sua voce di sirena ammalia gli assaltatori, dirottandoli su binari lontani e promettendo treni che chissà se arriveranno mai.

E va avanti così, per tutte le fermate fino a Monza.

In casi come questi colpisce il clima che si crea nelle carrozze, non tanto quello tropicale con l’umidità a tremila, quanto quello gonfio di calore umano: i pendolari sono come una ciurma di pirati a bordo della stessa nave, pronti a tagliare le onde dell’oceano devastando tutti i porti.

I cellulari spariscono dalle mani, i computer si spengono, i libri si chiudono: la gente si parla e si guarda in faccia!

Le persone si fanno forza tra di loro, anche solo sbeffeggiando il poveraccio di turno che è rimasto giù, a quella stazione là indietro: una solidarietà come quella che nasce dentro una carrozza rovente, giuro, non l’ho vista mai.

A Monza si congedano i primi eroi, e quelli che rimangono li salutano come si fa con gli amici migliori, quelli che gli si molla una bella pacca sulla spalla coi lucciconi agli occhi: è il miracolo del treno.
Dura poco, ma finchè dura è magia vera.

Ecco perché, caro Signor Soprano, che Moretti ormai ce lo siamo giocato, i pendolari sono gente che merita un po’ più di attenzione: son pirati veri, sanno il fatto loro.
Ora io non le dico di andare tutti i giorni al lavoro con il treno per rendersi conto, non lo augurerei neanche al mio peggior nemico, ma una chiacchieratina seria con queste persone ogni tanto dovrebbe farla: ne approfitti prima che i loro sorrisi si sciolgano dentro il caldo dell’estate.

Non si illuderanno che la situazione migliorerà come d’incanto, stia tranquillo, la vita di rotaia li ha resi realisti, anche se sono capaci di fare magie; ma se li prendesse anche solo un pochino in considerazione, forse non si sentirebbero abbandonati come dei naufraghi in mezzo agli squali.

Si sieda a bere un po’ di rhum insieme a loro, anzi, gliene porti gentilmente una cassa, che ormai le loro scorte le hanno finite: è quello che arriva dai Caraibi, sull’etichetta c’è scritto “Pazienza”.
Non si compra ad ogni angolo di strada, e quando viene offerto non si rifiuta mai.

29 pensieri riguardo “In viaggio coi pirati delle rotaie.”

  1. Cara collega è tutto verO 😀 un pendolare sa quando parte ma non quando arriva. ed è una cosa che scegli di amare, con tutto il nugolo di storie che si porta dentro, nonostante tutto.
    ciaOooo

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  2. Sinceramente l’argomento non mi interessava ma ho letto tutto l’articolo e avrei continuato volentieri a farlo se solo fosse stato più lungo. Perchè??
    Perchè tu sai scrivere, incuriosire e raccontare i dettagli in modo impeccabile. Sei riuscita a farmi salire sul quel treno, naturalmente da ritardataria cronica mi sono aggiundicata il posto ingresso e ho viaggiato con voi, pirata per un giorno 🙂
    Da oggi vi stimo ancora di più!!!

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  3. Ecco cosa vuol dire scrivere magistralmente, passando dalla magica Asia alla snervante vita da pendolare!!! (che come Farah conosco bene, in quel di Roma, con tanto di cambi, metro e tram vari in cui si ripropongono le stesse situazioni di cui parli tu, tra caldo asfissiante, odori nauseabondi e momenti di crisi isteriche).
    Brava davvero!
    Ne approfitto per segnalarti che sei tra i miei “lovely blog”: http://www.viaggideltaccuino.it/wordpress/lovely-blog-award-i-blog-amici/
    Un abbraccio

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  4. Ho sempre letto di Asia e America, come potevo immaginare che fossi anche tu una piratessa della Milano-Carnate? Ho molta meno esperienza in materia (“solo” 5 anni) ma garantisco su ogni singolo dettaglio che hai citato. E la solidarietà estemporanea che si crea su un Milano-Bergamo delle 18.01 è davvero qualcosa di unico al mondo 🙂

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    1. Ma wow, siamo della stessa ciurma quindi?
      Ah, cinque anni sono già un tempo di tutto rispetto!
      La prima volta che riesco a prendere il 18.01 allora ci dobbiamo vedere, per forza 🙂

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  5. Non avrei potuto descrivere meglio la situazione! Io, come te, sono un pirata da molto tempo. Giuro che quando leggevo sentivo tutto, anche la puzza (di alito la mattina e di sudore la sera). Non è poetico no, ma è la vita vera!

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  6. The story of my (roman) life!
    Cabi, ti assicuro che prendere la metro a Roma alle 8.30 del mattino o intorno alle 18 del pomeriggio non è poi tanto diverso dall’inferno che hai descritto magistralmente in questo tuo articolo.
    Ho rivissuto gli odori, il caldo e “l’appiccicaticcio” che, ahinoi, sopportiamo giorno dopo giorno.
    (in tutto ciò, sei sempre super)

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    1. Grazie Farah 😉
      Uhu, la metro, posso solo immaginare (e comunque non sai quanto ti capisco)! Anche a Milano la situazione non è delle migliori…magari ci facciamo un pezzo, eh?
      :*

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      1. Da scrittore riesco solo a immaginare…a Milano non potrei mai vivere, almeno che non mi pagassero così tanto da arrivare al lavoro in elicottero e con la cassa di rhum…di ottima qualità of course 😀

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