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Qualche riflessione sull’India, sei mesi dopo

Ultimamente ho ripreso a scriverne, a pubblicare le foto, ma soprattutto a rileggere il diario di quei giorni: il mio primo ricordo di Delhi ha l’odore della carta bruciata, e quando ho aperto la pagina dove l’ho fermato è stato come se la zaffata mi tornasse indietro di nuovo, me lo ricordavo alla perfezione.
E’ così che a distanza di sei mesi mi sono scoperta a fare il punto sul mio viaggio in India.

Walking around Delhi
Walking around Delhi

Prima di partire ho letto tantissimo, e ho ascoltato: indovinate qual è la cosa che mi sono sentita ripetere più spesso (è facile)?
All’India non ci si prepara.
Che alla fine, se vogliamo, è una specie di preparativo.
Poi sono atterrata a Delhi, in mezzo all’odore della carta bruciata, e non ci ho messo molto a scontrarmi con una grande verità: all’India non ci si prepara. Allora era vero!

Provo a spiegare quello che mi è successo passando attraverso le foto che ho scattato e al modo in cui le ho trattate; come faccio sempre al rientro, i primi scatti ai quali mi sono dedicata sono stati quelli che ritraevano delle persone: li ho editati in modo pesante, diciamo così, e l’ho fatto apposta.

old woman jodhpur

L’ho fatto perché volevo calcare delle maschere addosso a quei volti, in modo che tra me e loro ci fosse una bella barriera: mi hanno messa in difficoltà, li dovevo tenere lontani.
Ma nello stesso tempo l’ho fatto perché quei volti li volevo proteggere: chiudendoli dentro ad un travestimento, non mi sembrava di rubare dei pezzi di vita che forse non avevo il diritto di prendermi, era come raccontare una storia agitando delle marionette, non si fa male nessuno.
Le persone le fotografo sempre e questo problema me lo pongo ogni volta, ma con gli indiani è stato diverso.

Strade di Jodhpur
Le strade di Jodhpur

Poi è toccato ai paesaggi: ancora colori forti, ma non così eccessivi, niente effetto santino tanto per intenderci, che i panorami non creano mai grossi problemi.
Eppure le foto dell’India continuo a guardarle un po’ così.

Non è stata solo questione di imbattersi in una cultura diversa, c’era molto di più dietro, e lo scopro man mano che passa il tempo.
Leggo Bettinelli:

“Voler decifrare o cercare di capire ogni dinamica, ogni logica interna delle ‘stranezze’ che gli indiani offrono in continuazione, spiazzando la tua logica e le tue previsioni, è una fatica di Sisifo, un compito che trascende i limiti di un singolo viaggio.”

E mi tornano in mente le parole del ragazzo indiano che mi ha ospitato a casa sua, a Delhi:
“Alle volte ti senti un turista nel tuo stesso paese.”

La scena più forte delle mie settimane nel subcontinente l’ho vissuta nei pressi di Connaught Place, nel centro di Delhi, non in un angolo dimenticato da tutti: c’era una famiglia che viveva sul marciapiede, padre, madre e bambino di qualche mese, che se ne stava con le sue quattro carabattole ad aspettare che venisse sera sopra un pezzo di asfalto, senza far nulla, potete immaginare in che condizioni.

Di scene del genere ne avevo già viste, non solo in India, e ne avrei viste ancora in seguito, ma quella mi ha paralizzata, per il bambino.
Io forse sono atipica perché credo nel destino e in tante di quelle che spesso vengono definite stramberie all’orientale, ma per forza di cose sono anche molto occidentale, quindi non riesco a non chiedermi perché.
Perché quel bambino deve stare lì in quello stato? Non l’ha scelto lui.
I suoi genitori magari sì e sono affari loro, ma lui? Era talmente piccolo che neanche stava in piedi.

Davanti a scene del genere, hai voglia a tirare in ballo le caste, le vite passate e all’occorrenza pure la trimurti: a parole mi può anche stare bene, ma nei fatti io vedo quel bambino, e della ruota del dharma me ne importa ben poco, sarà mica il karma questo. Onestamente, faccio un po’ di fatica.

E allora che fai, ti incazzi? Non ne hai il diritto, è la loro cultura.
Alzi le spalle e fai finta di niente? Non puoi, è la tua cultura.

Confesso che mi sono incazzata, e che dopo sei mesi non mi è ancora passata del tutto perché le risposte a queste domande ancora non le ho, come non ho le foto di quella famiglia e di tante altre che ho incontrato, che lì non sarebbe bastato nemmeno il travestimento da santino.

Sembra retorica, ma è vero: le foto migliori sono quelle che non si ha il coraggio di scattare.
Sono quelle che non si possono editare, e che a distanza di sei mesi si guardano sempre con fatica.
Forse non ho ancora imparato ad apprezzare la bellezza anche quando è un po’ sfregiata, e credo che sia questo uno degli insegnamenti più preziosi che l’India possa offrire a chi gliene concede la possibilità.

Quell’India dove voglio assolutamente tornare, ma solo quando mi piaceranno davvero anche queste foto da non pubblicare mai.

Intanto mi diverto a editare i paesaggi con le tinte pastello, quelle rassicuranti che si mettono nelle camerette dei bambini: è un’India che non esiste, proprio come quella dei santini fluo, ma è un’India più affabile, quella che magari dà una mano ad incontrare l’India vera.

34 pensieri riguardo “Qualche riflessione sull’India, sei mesi dopo”

  1. Brava Cabiria. Ne parlavo proprio pochi giorni fa, dell’India. Anche io sono tornato incazzato dal mio primo viaggio. I miei conoscenti pretendevano che parlassi dell’India per ore e ore, ma io non ci riuscivo. Troppo vivi certi ricordi.
    Ricordo, ad esempio, la strada che conduce al Tempio del Sole a Jaipur. Una salita interminabile, una strada in pietra ai lati della quale vivono delle persone. Centinaia di persone. Quella strada è la loro casa, il luogo dove crescono i loro bambini. Non sono mai stato uno “tenero” di cuore, ma ricordo che in quell’occasione piansi.
    Anni dopo sono ritornato in India con mia moglie, nel sud questa volta e di nuovo immagini di sofferenza e dolore.
    Eppure, eppure c’è qualcosa che mi chiama, che mi spinge a tornare: la consapevolezza di essere sempre parte di qualcosa di più grosso di te. Sali sul treno e le persone ti salutano; sei su un bus e la signora che sale ti scarica il bambino in braccio perché lei non ha un posto per sedersi; chiedi un’informazione e in quaranta si prodigano per aiutarti. E anche quando li vedi soffrire, partecipi al loro dolore ed entri a far parte di qualcosa più grande di te.
    Difficile spiegarlo scrivendo.
    Rimane un fatto: sono stato in India due volte e ancora non ho capito se mi sia piaciuta. Ho come l’impressione che si tratti di un mondo che va oltre la semplice dicotomia mi piace/non mi piace.
    Mi sa che ci dovrò tornare di nuovo …
    Grazie per avermi ospitato.
    Marco

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    1. Grazie a te Marco, col tuo commento hai spiegato alla perfezione, mi ritrovo in tutto quello che dici.
      “Ho come l’impressione che si tratti di un mondo che va oltre la semplice dicotomia mi piace/non mi piace.” questa frase è verissima!
      E ti capisco perfettamente quando dici che ancora non sai se l’India ti è piaciuta o meno.
      Però quelle scene, la madre che sul treno ti molla il bambino, il fatto di venire fagocitati senza possibilità di tirarsene fuori…sono momenti impagabili, che a prescindere vale la pena di vivere.
      Grazie ancora per avermi scritto! Mi hai fatto un bellissimo regalo 🙂

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  2. ciao, ho letto un pò dei tuoi post e sono davvero interessanti ma avrei comunque qualche domanda da porti: che tragitto hai fatto? (non so se esiste ilpost ma non riesco a trovarlo) che clima hai trovato a dicembre? hai fatto le vaccinazioni? parto con queste domande ma forse ne avrei da fare ancora mille. grazie mille in anticipo e continua a scrivere pere tutti i viaggiatori.

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    1. Ciao! Non c’è un post con un itinerario preciso, ma se vuoi ci possiamo sentire via mail 🙂 intanto ti dico che a dicembre il clima era buono, con parecchia escursione tra giorno e notte, soprattutto nelle città più vicine al deserto, ma di giorno tante volta stavo in maniche corte (non a Delhi). Non ho fatto vaccinazioni particolari 🙂
      Grazie a te!!

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  3. Non so se quando hai scritto questo post hai pensato potesse far commuovere… a me, però, ha commossa.
    Siamo cosi abituati a filtrare la realtà con la razionalità da trovarci del tutto spiazzati davanti a situazioni che ci vedono inermi..
    Ogni viaggiatore già stato in India non fa che ripetermi che “all’India non ci si prepara”, che “l’India è un paese duro” e che “l’India ti cambia”.
    Eppure io non vedo l’ora di poter affrontare questo viaggio-sfida… di incazzarmi per un’ingiustizia sociale e sentirmi vuota (e al contempo piena) una volta ripartita…

    Complimenti per le foto. Sono sempre splendide

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    1. Ti ringrazio 🙂
      No, non ho pensato a far commuovere, anzi. Ho buttato fuori quello che continua a ronzarmi in testa: l’India ha fatto tutto tranne che commuovermi, davvero.
      Non ci si prepara, confermo, ma se hai questa voglia è più che sufficiente: vai, e incazzati pure tu! Con la consapevolezza che tanto non cambia nulla 🙂
      Aspetta le tue considerazioni poi, ci conto!!

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  4. Non posso che condividere la tua sofferenza e rabbia per quello che hai visto in india. Anche io, a distanza di un anno dal mio viaggio, da Delhi, fino a Varanasi (proseguendo poi fino al Nepal), ne sento ancora il peso. Sapevo cosa mi aspettava, ma non si è mai preparati abbastanza, hai pienamente ragione. Hai usato esattamente le parole che io avrei usato per descrivere quello che ho visto. La tristezza più grande è stata l’inerzia con la quale affrontano la vita.
    Mi chiedo se le caste non siano soltanto una scusa per spaventarli, e per renderli inerti di fronte alla vita. Probabilmente non ho il diritto di giudicare, e forse non ho capito molto dell’India, perché invece di tornarmene in Italia un po’ più “illuminato”, mi è rimasta dentro invece tanta amarezza.

    In Nepal, ancora più povero, sentivo invece un clima completamente diverso. Persone che vivevano in “società” e bambini che crescevano nei villaggi, guardati da tutto il vicinato. Ho visto persone sorridenti e socievoli, che si arrangiavano con quello che avevano, ma che non si arrendevano a quella condizione di povertà estrema.

    Amo comunque viaggiare, e tra due settimane partirò per la Cambogia e Vietnam. A quell’euforia, tipica di chi sta per partire per una meta sconosciuta, stavolta è associata anche un po’ di paura, di rivivere a distanza di un anno quelle condizioni di povertà estrema che non ho “mandato giù”.

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    1. Bellissimo questo tuo commento, ti ringrazio per essere passato!
      Condivido a pieno quello che dici, soprattutto quando parli della famosa “illuminazione”: io non credo che si debba partire per trovarla, quella forse si trova a casa.
      La scorsa estate sono stata in Cambogia e anche lì ho vissuto, sebbene in scala molto ridotta, alcune sensazioni, quindi…sì, ti aspetta un altro viaggio tosto 🙂
      Ma sono convinta che l’amerai come l’ho amata io, proprio per questo motivo.
      Grazie ancora per avermi scritto: preziosissimo!

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  5. Scrivi da dio, i tuoi post si leggono tutto d’un fiato. Devo assolutamente pianificare l’India e di certo spulcerò per bene i tuoi post prima 🙂 Ho letto che sei Asia & Australia addicted ma ti consiglio di scoprire di più l’Africa. Scrivi “Forse non ho ancora imparato ad apprezzare la bellezza anche quando è un po’ sfregiata”, sono certa che l’Africa te la farà apprezzare 🙂

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    1. Ti ringrazio, sei troppo gentile 🙂
      L’India è stata una bella conquista, anche se è solo l’inizio, ma non mi metto fretta.
      Con l’Africa ho avuto un paio di esperienze (Mauritius non la conto, quello è un altro mondo!!), ma sai che non mi ha lasciato troppi segni? Credo sia perchè sono partita nel momento sbagliato, e senza troppe motivazioni.
      Diciamo che sto aspettando il momento giusto anche per quel continente, ma sicuramente seguirò il tuo consiglio 🙂

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      1. Sarebbe una rovina se fosse tutto per tutti allo stesso modo fatale 🙂 Ti auguro comunque una bella botta di mal d’Africa :p

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  6. Ho visto una famiglia come quella, sul marciapiede , una sera di tanti anni fa, a Rio de Janeiro. Erano sotto un balcone sdraiati, in silenzio, non lontano dalla città delle favelas che è l’altra Rio. Non so dirti quanto si possano accostare a ciò che tu hai visto: di certo sono una immagine indelebile nella mente mia e di mia moglie. Noi , in gruppo con le guardie del corpo , che andavamo a mangiare l’astice in uno dei ristoranti più esclusivi della città e loro invece lì ,sul marciapiede. Io penso solo questo : incontrarsi col dolore è molto scomodo ma non dobbiamo mai ignorarlo e ne dobbiamo dimenticarcene perchè , se ci pensi bene, su quel marciapiede ci siamo anche noi. Sono sempre contento di leggerti…. stavolta mi è piaciuto anche di più.

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    1. Ti ringrazio Fiorenzo, e io sono sempre contenta di leggere i tuoi commenti: sono preziosi.
      Credo che il dolore sia uguale su tutti i marciapiedi del mondo e hai ragione, non va ignorato, perchè è sempre un po’ anche il nostro, non si può lasciare lì, anche se stiamo andando al ristorante o se siamo in vacanza come lo ero io.
      Certo che noi un po’ ce le andiamo a cercare, eh! [battutaccia]
      Grazie ancora 🙂

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  7. Un articolo stupendo.

    E non riesco a decidermi ad andare in India per la paura di potermi trovare di fronte a situazioni che non potrei capire, e forse neanche accettare.
    Tu alla fine che consiglio daresti?

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    1. Io non so se posso dare consigli, ti posso dire che avevo la tua stessa paura, e che, nonostante l’incazzatura che ancora mi porto appresso, sono contenta di averla messa da parte e di aver comprato quel biglietto 🙂

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  8. Bravissima…come sempre scrivi benissimo! L’India mi piacerebbe visitarla ma per ora la vedo ancora un pò con diffidenza, non so perché…
    Certo che per la scena che hai scritto anche io avrei l’incazzatura e non so se riuscirei a farmela passare…

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    1. Ti ringrazio! 🙂
      La diffidenza pare essere un sentimento comune, nei confronti dell’India: io prima di partire ci ho messo un po’, e credo che ci metterò un po’ anche a tornare 🙂

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  9. In India io non sono mai stata ma sono attratta da questo paese. Non perdo occasione per leggere diari o riflessioni, sono anni che tengo “sotto controllo” il volo Roma –Delhi ma alla fine quel biglietto non l’ho mai staccato, e sai perché? Perché ho paura! Paura di non essere veramente pronta ad affrontare quello che tu hai descritto, paura che la bellezza di questo paese venga offuscata dalle “atrocità” della vita quotidiana, paura di tornare a casa con un’idea diversa rispetto a quella che oggi ho dell’India.
    So che non sarò mai pronta, ma per una maniaca del controllo come me, questo non è un dettaglio da poco 🙂

    Quasi dimenticavo, l’articolo è bellissimo e tu continua a scrivere!!

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    1. Ti ringrazio! 🙂
      E ti dico quello che hanno detto a me: all’India non ci si prepara, quindi non sarai mai pronta, hai ragione.
      L’India dei volantini, delle foto, delle pubblicità è molto diversa da quella che incontri per strada: già partire con questa consapevolezza secondo me aiuta.
      Poi le scene come quelle che ho descritto non te le risparmia nessuno, questo è garantito. Ma se oltre ai colori del Rajasthan, come nel mio caso, non ti dispiace vedere un po’ di marrone della terra e di grigio della nebbia (a dicembre-gennaio a Delhi non ho trovato un giorno che non ci fosse, almeno per qualche ora), allora forse quel biglietto puoi provare a staccarlo 🙂
      Se consola, anche io sono in attesa di staccare il prossimo!!

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