Il racconto di una vita

L’altro giorno ci hanno detto che il racconto di una vita è l’eredità migliore che possiamo lasciare agli altri: non si tratta di grandi storie che cambieranno il destino dell’umanità, è una faccenda molto più seria, si tratta di piccoli tesori da custodire a ogni costo.

Il racconto di oggi inizia in Grecia, con un ragazzo di vent’anni mandato a Samos per assecondare i piani di gente più grande di lui: è il 1942, e in tanti vengono costretti a mettere da parte la loro storia per andare a combattere per quella di qualcun altro.

L’8 Settembre del 1943 arriva finalmente l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, ma proprio ora che il peggio sembra passato, l’esercito italiano si dissolve e rimane senza una guida. Iniziano i primi episodi di Resistenza contro i tedeschi.
Anche i ragazzi in Grecia si ribellano e resistono, ma alla fine vengono sopraffatti da un’alternativa terribile: unirsi all’esercito nazista, o arrendersi alla prigionia.

Uno di loro, e come lui chissà quanti altri ancora, viene scottato in prima persona dalla crudeltà di questa scelta: all’epoca dei fatti divide la stanza con un medico, uno che non molla mai per vocazione.
Ci sono domande le cui risposte si pagano soltanto a caro prezzo: ideali o libertà?
Per la prima volta il medico si arrende senza lottare, e sceglie di non scegliere: si spara.
Rinuncia a raccontare la propria storia per sempre.

Il nostro ragazzo invece non molla, e decide di rimanere fedele al suo racconto: il costo dei suoi ideali ha tutto il peso di un treno che lo porta dritto in Germania, dopo un viaggio lungo 29 giorni.
E’ un viaggio di quelli disumani, dove tocca scambiare il maglione per un pezzo di pane, dove l’unico abbraccio ad accogliere all’arrivo è quello freddo del cancello di un campo di lavoro.
E’ il Dicembre del 1943, quelli che prima erano soldati ora sono prigionieri.

A pensarci ancora adesso, papà e zia correggetemi se sbaglio, la vera fortuna del nostro ragazzo è stata quella di non perdersi mai d’animo: era uno che credeva nelle piccole conquiste di ogni giorno, era un gran lavoratore che sapeva il fatto suo.
Ma soprattutto era uno che sorrideva sempre, era una persona gentile, e la gentilezza si sa, è un’arma potentissima, di quelle che fan paura per davvero.

Gli anni in Germania sono durissimi, per sopravvivere si mangiano le bucce delle patate destinate a chi sta dall’altra parte dell’inferriata, poi un bel giorno arrivano gli americani: è il 1945, e quei maledetti cancelli finalmente si spalancano.
I ragazzi sono liberi di tornare a casa e di riprendere i racconti congelati durante gli anni di una guerra non loro.

Anche il nostro ragazzo torna a casa, e ancora una volta ci mette un’eternità, quello che lo riporta indietro è un viaggio dentro le macerie, è tutto da ricostruire.
Adesso pesa 42 chili, ma il suo sorriso è lo stesso che indossava alla partenza, lo stesso che si è portato appresso fino all’altro giorno: nessuno gliel’ha levato mai.

Ci sono storie che non finiscono dentro a un libro, ma che vanno raccontate, perché la vita di qualcuno la cambiano eccome.

Me l’hanno scritto e non avrei potuto trovare parole migliori “una tragedia così enorme diventa reale quando diventa la storia di persone. Sennò resta un numero, o quasi” (grazie Patrick) si parlava di Hiroshima, ma non c’è niente di più uguale di una tragedia troppo grande da capire.

L’altro giorno, a portare la bandiera dei reduci della Seconda Guerra Mondiale è rimasto solo Pierino, coi suoi 93 anni di racconti sopravvissuti anche all’inferno. Ma se la storia di chi è stato dietro quella bandiera adesso la raccontiamo anche noi, Pierino non resterà da solo, e magari tra cinquant’anni non ci sarà più bisogno di portare bandiere che parlano di racconti congelati o di scelte impossibili.
A me piace pensare che sia così, ed è anche con questa speranza che sto scrivendo oggi.

Il nostro ragazzo ci ha messi in fila per l’ultima volta il nove di Novembre, che come ha ricordato a tutti mio fratello, la vera memoria storica della famiglia, era proprio il giorno in cui la Germania finalmente liberata salutava i suoi primi 25 anni d’età: nonno, lo hai fatto apposta, mannaggia a te!
Hai raccontato fino alla fine, e ti sei preso la tua grande rivincita.

Col racconto della tua vita ci hai insegnato a essere gentili con tutti: non possiamo sempre sapere quali sono le battaglie che combattono gli altri ogni giorno, non possiamo sapere se anche loro sono stati costretti a congelare dei racconti per un qualche motivo. Non possiamo non essere gentili.
E se ci sei riuscito tu con quei tedeschi, dobbiamo riuscirci anche noi.

Ci hai insegnato a combattere fino all’ultimo, perché non c’è mai un buon motivo per arrendersi, neanche davanti alle scelte impossibili, e perché i cancelli si aprono sempre per tutti quelli che non smettono di crederci: tu sei tornato a casa.

Ci hai insegnato a raccontare sempre (a me forse anche troppo!), perché le storie sono fatte per essere condivise: sono un dono, sono la nostra vera eredità.

Adesso è grazie a te se possiamo dire che in famiglia siamo gente che non molla mai, e che cerca sempre di regalare un sorriso, anche quando costa tanta fatica.
Siamo gente che ricorda tutto, ma che lo fa senza rancore, perché i ricordi sono lì per migliorare le persone, oltre che per far loro un po’ di compagnia.

Tante volte non è facile e tu lo sai meglio di noi, ma la nostra vera battaglia è quella di provarci tutti i giorni: sì, noi siamo stati molto più fortunati!
Ed è proprio per questo che non abbiamo il permesso di arrenderci.

Grazie!
Sono solo sei lettere, ma tanto tu hai già capito.

31 pensieri riguardo “Il racconto di una vita”

  1. Finalmente ho trovato il tempo per leggere questo post. Mi ero scorso davanti mentre stavo lavorando, gli ho dato una scorsa veloce, ho capito che necessitava di più tempo e attenzione. Sono tornata sui miei passi adesso, ho trovato un post che va dritto al cuore, un ricordo dolce e allo stesso tempo tenace, una storia che non poteva rimanere privata.

    I nonni sono esempi per le nostre vite, specialmente quando sono come tuo nonno e con un vissuto così importante. Ho perso il mio a febbraio, ancora oggi non passa giorno in cui non ripensi a lui e alle sue frasi, ai suoi gesti, ai suoi sorrisi. Ancora mi commuovo. Fai tesoro della sua vita, il resto verrà da se.

    Un abbraccio.

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    1. Grazie Serena!

      Sì, è quello che sto cercando di fare, ed è anche il motivo per cui alla fine ho deciso di scrivere: dici bene, certe storie non devono rimanere private, possono essere di stimolo e di spunto a chiunque.

      Per me è stato così, ogni giorno, e adesso cercherò di continuare in quel senso, e poi sì…il resto verrà da sè (e mi commuoverò, come ora, ancora per molto).

      Un abbraccio 🙂

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  2. Ho sempre ascoltato i racconti del mio nonno fin da piccola, prima come se fossero una storia, crescendo però quei racconti hanno preso un peso diverso e ho iniziato a chiedere di più perchè non andassero persi. La storia della famiglia entra nella storia del mondo. Ora lui non c’è più e queste storie dovrò continuare a raccontarle come hai fatto tu. Con la speranza che il mondo possa diventare consapevole degli orrori che la guerra provoca. Noi non dobbiamo smettere di ripetere quanto siamo fortunate e fare quello che nel nostro piccolo possiamo per portare un sorriso a chi ha dimenticato come si fa 🙂

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  3. Ci pensavo proprio agli inizi del mese, nel giorno in cui ho fatto visita a chi ormai non c’è più, davanti alla foto di un mio prozio che in quell’immagine appare fiero e sorridente di indossare la divisa, uno dei tanti che dalla guerra non sono tornati.. pensavo che tra la nostra e la generazione di chi ha lottato per la nostra libertà c’è n’è una sola, quella dei nostri genitori. Sembrano tempi tanto lontano e, invece, è solo un anello della catena.
    Bellissimo post Cabiria!

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  4. Dopo tutti questi bellissimi commenti, anche il mio:
    Cabi carissima , associavo – leggendo il tuo racconto immediatamente -alle immagini del film di Olmi, nei cinema in questi giorni “Torneranno i prati”…
    ma soprattutto avendo, ogni famiglia, vissuto tutto questo ,
    con morti che ancora vivono nei racconti dei nostri padri, nonni
    abbiamo davvero il dovere di non dimenticare mai

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  5. Ricordo bene quella frase di Patrick. Mi è rimasta dentro perché è proprio vero che i numeri, per quanto grandi, restano numeri. Quello che invece riesce a suggestionare l’immaginario collettivo è il singolo. La storia del singolo.
    Io ti ringrazio per questa storia ❤

    Spulciando tra i commenti, ho letto quello di Paola.
    Beh, penso che uno dei nostri doveri sia tramandare le storie perché poi non ci sarà nessuno a raccontarle alle future generazioni.
    Mio nonno è stato prigioniero di guerra in Grecia e la sua storia è molto simile a quella che hai descritto.
    Era una delle storie che non si annoiava mai di raccontare.
    Ora mio nonno non c'è più ma posso rivivere i suoi racconti in storie come questa 🙂

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    1. Grazie Manu ❤

      Quella frase se vogliamo è partita proprio da te, dal tuo racconto di Hiroshima: leggevo il tuo scritto mentre scrivevo il mio, e pensavo esattamente a quello che Patrick ha fatto notare proprio in quel momento.
      Se ci riflettiamo un attimo, è un insieme pazzesco di cose che si sono trovate tutte insieme!
      Siete stati preziosi anche senza saperlo 🙂

      Credo che chi ha vissuto certe esperienze rimanga segnato per sempre, anche mio nonno questa storia della Grecia l'ha raccontata un sacco di volte, come quella del viaggio in treno che per noi in famiglia è diventato quasi mitologia ormai, quindi mi immagino, chissà quante volte anche tu hai ascoltato!

      Adesso tocca a noi!
      Grazie ancora 🙂

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    1. Grazie Ernesto, quello che scrivi è bellissimo!
      Ed è bello vedere che c’è chi sa apprezzare le fortune, perchè tante volte succede che non ci facciamo troppo caso, e invece dovremmo.
      Lui raccontava meglio, io ci ho provato, apprezzerà sicuramente il tentativo ❤
      Un abbraccio

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  6. Se smetto di rileggerlo forse riesco a togliermi il groppo in gola e a scriverti due parole per dirti il mio di “Grazie”, anche se le parole non sono il mio forte.
    Noi siamo una delle ultime generazioni ad aver avuto la fortuna di sentire queste storie dalla bocca di chi le ha vissute, ma non dobbiamo smettere di raccontarle per non dimenticare mai sperando di non averne mai piu’ di nuove !

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    1. Grazie!
      Scrivere col groppo in gola è una gran fatica, e parlare ancora di più, ti capisco benissimo, proprio per questo è ancora più apprezzato quello che mi hai appena detto 🙂
      Però dobbiamo fare lo sforzo, è l’unica cosa che possiamo fare, e merita tutto il nostro impegno.
      Grazie ancora per le tue parole 🙂

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  7. Hai deciso di regalarci un grande insegnamento di vita raccontandoci la storia di un uomo gentile, coraggioso, di grande valore, e l’hai saputo fare nel migliore dei modi, arrivando dritta al cuore dei tuoi lettori. Credo proprio che “quel ragazzo” sia fiero della sua nipotina. Un abbraccio fortissimo.

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  8. Molto toccante Cabiria. Mi capita sempre più spesso di leggere pezzi dove le persone ricordano i loro avi costretti dall’umana follia alla guerra…qualcuno mi ha detto che quelli della nostra generazione sono come degli orsetti lavatori, incaricati di ripulire i nodi del passato. Me lo rileggo con calma il tuo post.

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      1. Pulire non è sinonimo di oblio, anzi. Bisognerebbe ricordare con affetto anche le mostruosità, l’ignoranza di se stessi che ha portato alle tragedie personali, i piccoli mattoni di quelle collettive. Come eliminare vecchi vestiti, per avere armadi più ariosi e luminosi…oggi mi sento ispirato 🙂 un abbraccio!

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  9. Questo tuo post è molto bello e toccante. Proprio ieri notte ho scritto un post in cui parlavo del giorno in cui mia nonna mi chiese di portarla in un posto sui monti dove c’era una villa in cui nascosero i miei pro-zii durante la Seconda Guerra Mondiale e dove c’erano molte case di Partigiani che pur di combattere l’invasore e sopravvivere decisero di vivere nascosti tra i boschi. Immagino che la resistenza, di qualunque tipo si tratti, sia stata dura, faticosa, per lo spirito e per il corpo e ci sia voluta una grande forza di volontà. Come dice Paola qua sopra, io ascolto queste storie con piacere perchè siamo l’ultima generazione che può ascoltare e ritrasmettere ad altri la vita dei nostri avi e conoscenti durante quel periodo duro. E’ bellissimo quello che hai scritto e mi stupisce il fatto di aver scritto qualcosa di simile proprio poche ore fa.

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    1. Il tuo commento mi ha fatto venire i brividi, grazie di avermi scritto!
      Per favore, quando pubblichi il tuo pezzo fammelo sapere, lo leggo con piacere: anche a me stupisce questa cosa, e io credo poco alle coincidenze.
      Ma a parte le mie fisse, sì, è importante ascoltare e raccontare, e sono felice di vedere che la pensiamo in tanti nella stessa maniera.
      Un abbraccio 🙂

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  10. cara Cabi, ora capisco…, è quella gentilezza d’animo che tu e tuo padre portate addosso…rara difficile da vedere oggigiorno. È una leggerezza del vivere, chiaroche è apparente, perché invece sappiamo quanto sia difficile. Sei speciale nello scrivere e nel comunicare…grazie di averci raccontato questa storia che appartiene alle tue radici,
    mi hai commosso, ma con leggerezza. Un abbraccio, Anna

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  11. Mi hai fatto salire un nodo in gola… Ho pensato spesso che noi siamo l’ultima generazione con la possibilità di ascoltare queste storie da chi le ha vissute e non “raccontate da qualcun altro”…Quindi è davvero una cosa bellissima tenerle, scriverle, condividerle. Grazie a te, ti vorrei dare un abbraccio.

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    1. Già, siamo fortunati due volte, perchè non abbiamo dovuto vedere coi nostri occhi, e perchè possiamo ascoltare con le nostre orecchie.
      E’ una fortuna da non sprecare 🙂
      L’abbraccio tienilo lì qualche giorno, che arrivo a prendermelo tutto, eh!
      Grazie ❤

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