La Cupola della Roccia, Israele, Cabiria Magni

Gerusalemme e Yad Vashem

Gerusalemme è uno di quei posti che non può lasciare indifferente nessuno, e non è una questione di credo: quando si cammina tra le sue vie, si ha come la sensazione di essere al centro del mondo, immersi nella storia fino alla gola, impantanati senza la possibilità di tirarsene fuori.

Non la si può guardare dal davanzale, Gerusalemme è una città che chiede di lasciarsi sporcare, rinunciando alle mezze misure.

Fedeli al muro del pianto, Gerusalemme. Cabiria Magni, Israele
Fedeli al muro del pianto

L’ho vista per la prima volta dal monte Zion, le cupole si alzavano sopra i tetti ammassati della città vecchia: la cupola dorata – Cupola della Roccia, costruita nel luogo in cui Maometto sarebbe asceso al cielo dopo il suo pellegrinaggio, lo stesso luogo in cui Abramo fu fermato nel suo sacrificio di Isacco; la cupola nera subito accanto, Al Aqsa, nient’altro che il luogo più sacro per l’Islam al di fuori della penisola arabica, la cupola bianca della sinagoga, e poi la cupola scura del complesso del Santo Sepolcro.

La Cupola della Roccia, Israele, Cabiria Magni
La Cupola della Roccia

Entrata nella città antica, mi sono fermata al muro del pianto: ammetto che da lontano la prima sensazione che ho avuto è stata quella dell’ennesimo luogo feticcio, buono per fare belle fotografie, poi però mi sono avvicinata.
Mi sono fermata a un metro dal muro, ad ascoltare i mormorii scanditi dal fruscio delle pagine.
Insieme a me si è avvicinata una signora, e quando ha toccato il muro ha pianto: una ragazza le ha sorriso senza interrompere la sua preghiera. Ho lasciato un biglietto tra le crepe: ci sono gesti che si fanno quasi senza accorgersene, vengono allo scoperto così.

Le preghiere davanti al muro, Gerusalemme, Cabiria Magni
Le preghiere davanti al muro

Il bello del muro è che ognuno lo affronta a modo suo: mi diceva la guida che la settimana prima aveva assistito ad un rituale di nativi americani proprio lì davanti, e che era stato bellissimo.
Va bene tutto insomma, i rituali alla fine sono solo degli strumenti di per sè vuoti, peccato che spesso lo scordiamo.

Bazar Gerusalemme, Israele, Cabiria Magni
Verso il quartiere cristiano, attraverso il bazar

Lasciato il muro, ho iniziato a camminare tra le viuzze del quartiere ebraico, tra le sue case tutte ristrutturate, poi mi sono addentrata nel quartiere cristiano passando in mezzo al bazar, e mi sono ritrovata davanti al complesso del Santo Sepolcro.
Fa strano pensare come questo santuario si trovi proprio sulla cima del Golgota, il luogo della crocifissione, che all’epoca dei fatti era ben lontano dal centro della città e che ora invece ne è il cuore stesso.

All’ingresso, poco oltre il portone, un grande masso: pare sia quello dove fu adagiato il cadavere di Cristo per essere unto prima della sepoltura; gli ortodossi si avvicinavano armati di croci e di icone, gli si gettavano addosso accarezzandolo, pregavano.
C’era anche un gruppo di copti, dai lineamenti direi etiopi: le donne, fasciate dai loro vestiti colorati, svolazzavano leggere attorno alla pietra ungendola di oli, il loro profumo riempiva tutto lo spazio della volta.
Mi sono abbassata d’istinto e ho toccato il sasso, non era freddo: mi è sembrato strano.

Complesso del Santo Sepolcro, Gerusalemme, Cabiria Magni
Complesso del Santo Sepolcro, il luogo della crocifissione

Ho proseguito poi nella visita, fermandomi prima nel punto della crocifissione e poi presso il Santo Sepolcro: i fedeli stavano in coda pazienti per andare a toccar con mano questi luoghi di cui finora avevano letto solo nelle copie dei libri antichi.
Abbiamo sempre bisogno di toccare con mano, è curioso vedere come, alla fine, dalla natura non si scappa mai.

Nel tardo pomeriggio ci siamo fermati allo Yad Vashem, il museo sull’Olocausto più grande del mondo: sorge sopra una collina fuori dalla città nuova, e la occupa per intero.
Già, per intero: se volete fare una visita con l’audioguida, calcolate di impiegarci tutta una giornata.

Il corpo centrale del museo, quello dove sono custoditi reperti, testimonianze e piccoli stralci di vita quotidiana che mettono i brividi, è stato costruito con due materiali, il cemento armato e il vetro, nell’intento (riuscito) di raccontare il gelo che circonda certe storie.

All’interno del museo non si possono fare foto, e nemmeno viene voglia di provarci; l’ultima sala poi, è semplicemente impressionante, ha una forma come di due coni che poggiano l’uno sulla base dell’altro, in modo che chi ci entra cammini lungo la circonferenza massima: sopra la testa una cupola costellata di primi piani delle vittime dell’Olocausto, sotto i piedi un baratro che finisce in un pozzo nero.
Ai lati solo scaffali, tanti scaffali.
Scaffali pieni di libri, libri pieni di storie di chi non è riuscito a sfuggire ad una follia inaccettabile: è un elenco minuzioso. Alcune mensole sono vuote perchè il lavoro del centro va avanti, la ricerca delle storie non è ancora conclusa, ma vi posso assicurare che vederle lì, messe in fila su un ripiano, fa toccare un po’ di striscio l’enormità di quello che è successo.
Finchè si tratta di leggere numeri dentro un libro di scuola o in un articolo di giornale non è la stessa cosa, non ci si scotta molto.

Il resto della collina è occupato da diverse installazioni, ognuna col suo messaggio da urlare in silenzio.

C’è un vagone che sembra sfrecciare verso il vuoto, un vagone di quelli che portavano i prigionieri ad Auschwitz, che adesso è lì a ricordare quanto sia labile il confine tra ragione e ordinaria follia: basta una piccola spinta e si cade per sempre di sotto.

Yad Vashem, museo dell'Olocausto, Gerusalemme, Cabiria Magni
Il vagone sul baratro

C’è il sentiero dei giusti, un viale dov’è stato piantato un albero per ogni eroe non ebreo che ha salvato delle vite rischiando la propria, senza avere nulla in cambio: queste le tre condizioni per poter stare sulla collina.
Ci sono nomi come quello di Schindler, o di Perlasca, metà uomini giusti e metà eroi.

C’è un memoriale per i bambini morti nella Shoah: è una stanza buia, non si vede niente, si entra e si sente solo una voce che chiama il loro nomi, che dice quanti anni avevano e da che paese provenivano, in un appello inesorabile senza risposta alcuna.
E’ una stanza piena di specchi sui quali si riflettono migliaia di lucine gialle: sono le luci delle stelle a cui è stato negato un cielo.

6 pensieri riguardo “Gerusalemme e Yad Vashem”

  1. Cavolo, mi ritrovo molto in questo post. Ho visitato Gerusalemme in 3 giorni con la febbre a 38,5°…e nel lontano 2010. Ma le emozioni sono stampate dentro come un tatuaggio appena fatto. Anche io ho lasciato un messaggio nel Muro del Pianto, ed ho pianto. Non so perchè, mi sono scese da sole. Yad Vashem l’ho visitata mezza giornata prima di ripartire per l’Italia ..appena arrivata ho sentito un silenzio assordante, un’energia forte, una vibrazione molto intensa…che non so spiegare. Il memoriale dei bambini mi ha toccato profondamente. Bel post, grazie.

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  2. Cabi, tra quest’articolo e quell’altro, sei riuscita a farmi venire voglia di visitare Israele, che invece era una meta che non avevo mai considerato. (al massimo la relegavo a pellegrinaggio in Terrasanta tra vent’anni 🙂 )
    Poi a 75€ a/r… spendo di più ad andare a Roma…

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