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Marsiglia in un giorno: si fa, ma poi viene voglia di tornare_parte 2

Avevamo lasciato il Vieux Port in attesa e beh, adesso sarà anche il caso di farlo smettere di aspettare.
Toglietevi dalla testa immagini dalle tinte un po’ cupe di camalli transalpini che si aggirano per vicoli sordidi con un aspetto più da filibustieri, che tanto per mare ci vanno pure loro.
Niente di tutto ciò, il Vieux Port è semplicemente un gran casino.

E’ la parte della città più movimentata, un guazzabuglio di persone e locali, dove se cammini a piedi lungo una via ti fai il giro del mondo senza nemmeno uscire dalla città; è impressionante il numero di ristoranti etnici che si trovano da queste parti, aperti praticamente 24 ore su 24, dove il libanese sta di fianco al giappo e poi ti ritrovi a bere una birra che sente un po’ d’Irlanda.

Vieux Port

Già.

Questo di giorno, e non avete idea di quello che succede la sera se per caso hanno organizzato qualcosa nella piazza principale, o anche se non hanno organizzato niente: c’è marasma uguale.

E’ la zona della città più adatta per chi vuole divertirsi un po’ in mezzo al trambusto colorato, non importa quando; e se per caso finisce che a Marsiglia vi fermate più di un giorno (io ho avvisato che sta tizia ammalia), beh, forse è il caso di dormire da queste parti, che di sicuro non ci si annoia e magari poi non si dorme nemmeno.

Vieux Port Nightlife

Un altro quartiere dal fascino del tutto particolare è Le Panier, la città vecchia.
Intrico di viuzze lastricate di pietre lucidate dai secoli, è proprio qui che si acquista l’esatta percezione della Marsiglia com’era una volta; i muri intonacati dei colori dei pastelli di un astuccio uscito dai ricordi o ricoperti di fogli di giornali accompagnano alla scoperta di scorci da immortalare con qualche scatto che prima o poi finirà in cornice.

Le Panier

Di Le Panier mi ha colpita il rumore del silenzio: sarà che era una giornata calda e che l’orario era di quelli che uno o sta finendo di pranzare o si è già consacrato alla siesta, ma devo dire che infilarsi per quelle strade e sentire solo il sole riflettersi sulle case insonnolite è stato un bel contrasto dopo il guazzabuglio del porto.

Relax @ Le Panier

Fino a quando non siamo incappati nel classico gruppone della nave da crociera: casinisti schedati, il numerino in bella vista appuntato sul petto che si sa mai di perdersi, la cui unica preoccupazione pareva essere l’orario della pausa the (io con più di trenta gradi penso al gelato, sarò strana).

Ma Marsiglia è città di mare, e che il porto raccatta di tutto lo devi mettere in conto, quindi va bene così.

Parlavo poi di suk la scorsa settimana; il suk più grande di Marsiglia si chiama Belsunce, che poi è il quartiere magrebino.
Ho da sempre un’attrazione direi quasi fatale per quelle situazioni che sembra facciano di tutto per farti sentire fuori posto, e Belsunce è una di quelle.

Mi spiego.

Belsunce

Anche Belsunce è un gran casino, sì, ci risiamo, ma è un casino diverso.
Intrufolandomi in questo quartiere ho avuto modo di vedere che di turisti o comunque stranieri non è che ce ne fossero poi molti, si trattava praticamente solo di local, anche se parlare di local in casi come questo diventa complicato.

Belsunce_locals

Belsunce è la Marsiglia dei migranti, di quelli che partono sacca in spalla e non sanno se arrivano, figuriamoci se sanno dove.
Belsunce è la città delle speranze ripiegate nel cassetto, quelle che un giorno te le giochi e stai sicuro che svolti, ma intanto rimangono lì.
Cammini per strada e devi stare attento a dove metti i piedi, che magari qualcuno di quel pezzo di asfalto ci ha fatto il suo personalissimo mercato e vaglielo a toccare.
Cammini per strada e non riesci a smettere di guardare in giro, che è tutto da scoprire.

Niente monumenti, niente cattedrali (quella sta sul lungomare e un salto lo merita davvero), niente opere d’arte se non quelle che si costruiscono ogni giorno col coraggio di prendere e partire, per reinventarsi una vita altrove.

Sweet Belsunce

Ecco perché ho amato questo quartiere, coi suoi fruttivendoli colorati, che la frutta te la piazzano fra i piedi.
Con le scarpe rotte abbandonate sul ciglio della strada.
Con le pasticcerie orientali, che poi sono mediorientali, ad essere precisi.
Coi suoi odori che sotto la scarpa ti ci guardi, che il dubbio di avere schiacciato qualcosa ti viene.
Con le sue facce che se ti beccano a fargli una foto il dito medio te lo regalano eccome.

Ma va bene così.

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#altertrip: di quella volta che siamo andati a Marsiglia in pullman_parte I

Ci sono viaggi che la fantasia ne ha da imparare dalla realtà.
Ci sono viaggi che non è possibile tutto quanto insieme eppure va proprio così.
Sono proprio quelli i viaggi che diventano prima ricordi che ci sorridi su e poi aneddoti da raccontare con il sottofondo di una risata che si è fatta grassa.

Marsiglia è passata da poco ma è già aneddoto, e che era da ridere si è capito subito.

Marseille

Tutto inizia nella Milano di un venerdì di sciopero dell’ATM, in quella ridente località che è Lampugnano; nonostante lo scrupolo di avvisare del nostro ritardo neanche esagerato, che se uno a Milano ci arriva in treno non può pretendere di spaccare il secondo, monsieur le capitaine, anziché darci il benvenuto a bordo del bus come millantato, decide che magari i convenevoli li lasciamo per un’altra volta e che l’attesa non fa per lui, così parte.
Au revoir.

D’altronde, dieci minuti in un viaggio di nove ore sono quelli che fanno la differenza, come si fa ad aspettare?

Il bus successivo per Marsiglia è in partenza alle 13, e questa invece è l’attesa che non fa per noi, perchè uno fa anche a meno di cinque ore scarse in un angolo di mondo così struggente, se non altro per un minimo di amor proprio. Pure lo sciopero, però!

Ma sono proprio le difficoltà ad insegnare di non darsi mai per vinti, scopriamo così che un pullman prima esiste eccome, e dato che non è possibile cambiare-i-biglietti-non-sia-mai, decidiamo di acquistarne di nuovi: ormai vale tutto e in certi casi un po’ la si prende sul personale.
Il problema è che manca meno di un’ora alla partenza, quindi perché mai il cliente dovrebbe poter acquistare un biglietto e partire? Troppo facile, vendite chiuse, senza appello.
Very sorry.

Ma come?

La ragazza oltre il vetro ci guarda con una faccia che assomiglia più ad una maschera di cera (anche se in certi casi il termine più appropriato è cerone) e fa spallucce, che lei è lì perché deve.
Very sorry.
Questa l’ho già sentita.

Risparmio ora il racconto della compilation di vicissitudini dei minuti successivi, basti sapere che alla fine il ruolo di deus ex machina se lo è accaparrato una telefonata piombata da Parigi a rischiarare il grigiore meneghino, probabilmente coi suoi toni minatori.
Lezione numero uno: se hai conoscenze in alto, sfruttale.

Si parte, direzione Aix en Provence.

Già.
E noi che dovevamo andare a Marsiglia.
Beh, iniziamo ad avvicinarci, poi ci pensiamo.

From the window_Liguria

Il pullman sfreccia allegro lungo il litorale ligure, tra scorci da cartolina e soste cronometrate che guai a non presentarsi in tempo alla ripartenza, ma non scherziamo su ste cose, che già abbiamo dato; va detto che dalla nostra abbiamo gli autogrill, che paiono scelti apposta per invogliare il viaggiatore a non abbandonare il veicolo.

Nice place!

Segnalo a questo punto un momento nel quale la tragicità ha sfiorato le vette più alte: in occasione della sosta per il pranzo, Marco, che si è spartito con me questa avventura, si convince di aver lasciato il cellulare in autogrill.

Il primo tentativo disperato, istinto puro, è quello di dirottare il pullman all’altezza di Imperia, ma l’attacco viene respinto da monsieur le capitaine the 2nd con sprezzo del pericolo: non sa quel che rischia, ogni blogger che si rispetti darebbe almeno dieci anni di vita per il suo I-Phone, certe cose non si toccano.

E’ il panico.
Ci sforziamo di ragionare, anche se finora sono poche quelle che sono andate bene e ci concentriamo sulla priorità: il cellulare.
E’ proprio qui che accade il miracolo (grazie buon karma, ti devo un favore).

In un attimo di lucidità ricordo di averlo visto (il cellulare, non il karma: quello mi è passato davanti tante volte quel pomeriggio) tra le mani di Marco poco prima di risalire a bordo, quindi non può essere lontano, diamine.

Infatti.

Mi guardo attorno e lo vedo nascondersi strafottente tra le pieghe dello zaino: possiamo abbandonare i nostri piani bellici, che a questo punto si pensava di stordire l’autista in qualche modo per impossessarsi del mezzo.

Cosa non si fa per sopravvivere.
Cosa non si fa per sopravvivere.

Ci mettiamo invece comodi, che tanto il tempo non manca e vediamo di capire come fare a spostarci da Aix a Marsiglia dove abbiamo appuntamento col nostro contatto: gli scriviamo e la risposta è di quelle che finalmente tiri il fiato.

“Non c’è problema ragazzi, vengo a prendervi io!”

Molto bene, le belle notizie, che siamo già in ritardo di più di due ore.

“Arrivo col treno delle 19.10.”

Ah, ecco. Pareva strano: questo viene a prenderci in treno, ovvio.
In certi momenti ci si scambiano sguardi perché ci sono cose che le parole non sanno dire.

Decliniamo la gentile profferta con fare altrettanto gentile perché alla fine siamo gente per bene, e ci assumiamo la responsabilità di proseguire con le nostre forze fino a destinazione, nonostante tutto.

Appunto. 

Rendiamo onore a quelli che non ce l'hanno fatta.
Rendiamo onore a quelli che non ce l’hanno fatta.

Nella prossima tappa vi racconto cos’è successo da Aix a Marsiglia, che sono poco più di 30 chilometri, ma viste le premesse poteva andare tutto liscio?
Ma quando mai, siamo seri.