Bali: quando il pranzo in famiglia è dall’altra parte del mondo

Questo post l’ho scritto di getto a Bali.

Non ci sono foto di quel pranzo, non sono riuscita a tirar fuori la macchina fotografica e men che meno il cellulare, giuro: certi momenti non sono fatti per essere messi in vetrina, pare quasi di rovinare qualcosa.
Certi momenti sono fatti per essere vissuti senza la barriera di una qualsiasi lente, bisogna starci in mezzo senza ripari.

Ecco quindi la pagina del mio diario, così com’è finita sulla carta quel pomeriggio davanti al mare.

Oggi ho pranzato da Anik, ha studiato qui all’ashram prima di prendere la sua strada: lei è una che le ali non le ha soltanto ai piedi.

L’ospitalità balinese è meravigliosa perché è una cosa semplice.
Pensiamo a tutte le menate che ci facciamo noi quando invitiamo qualcuno a casa: e il menù, e la tavola, e pulisci il bagno che si sa mai.
E che stress, mamma mia!

Alle volte si suda solo all’idea e magari vien voglia di lasciar stare.

Vero, Anik è andata a fare la spesa al mercato stamattina, e qui se c’è di mezzo il mercato si parla delle 4, le 5 quando si tira tardi, e ha cucinato sperando di azzeccarla coi gusti di tutti.
E’ che l’ha fatto per il piacere di farlo, senza farsi prendere da scompensi particolari (che comunque a creare uno scompenso ad un balinese ce ne vuole).

Ci ha accolto nella sua casa very simple, come l’ha chiamata lei, che è un locale solo, azzardo tre metri per quattro, non di più, e ci siamo seduti a terra, vicino al materasso.
Abbiamo bevuto un caffè bianco con crackers salati e wafer alla nocciola, e non sono stata a fare troppi complimenti, che avevo una fame (diamo la colpa all’ora di yoga, va).

Poi però è arrivato il pranzo.

Ah, ecco.

E io che mi son sfondata di loacker giavanesi.

Il caffè era giusto il benvenuto, ma vuoi non mangiarci insieme qualcosa? Non si fa.
Eh, appunto. Bastava saperlo.

Sono già piena quando arrivano riso, tempeh e pollo con jackfruit (quello acerbo viene cucinato in zuppa e assomiglia un po’ al carciofo: troppo buono! E pensare che quand’è maturo è così dolce).
Vuoi tirarti indietro?
No, ovvio, e già che ci sei prendi anche qualche krupuk, che ci sta sempre bene.

Pare che non mangiavi da un mese quando ti mettono nel piatto la frutta: sto giro è la versione del jackfruit che conosco bene e quanto mi piace.

Da questa parte del mondo il cibo viene messo in mezzo, è da condividere: si prende e si passa a chi sta accanto; da noi ognuno pensa ai piatti suoi e credetemi, fa una gran differenza.
I balinesi mangiano con le mani, ma dato che anche qui l’ospite è sacro, se non ha gli occhi orientali gli allungano un cucchiaio, che è vero che con la coscia di pollo non aiuta troppo, ma alla fine è il gesto quello che conta (ecco perchè io il pollo alla fine l’ho mangiato con le mani e non riesco a trovare l’aggettivo per descrivere la faccia di Anik quando mi ha vista: i regali quelli veri si fanno con poco).

E conta la compagnia: è quella che fa la differenza, ovunque.

Ho conosciuto Matt, un ragazzo di Sydney che fa l’educatore ed è in giro da un po’ per l’Indonesia; si è fermato a dormire da Anik perché sono amici e perché chi viaggia per lunghi periodi sa bene quanto sia importante risparmiare anche solo qualche centesimo.

La cosa bella dello spostarsi per il mondo in questo modo è che si incontrano persone con le storie più diverse da raccontare e non si finisce mai di stupirsi: quante ce ne sono.
A Matt ho raccontato che ho iniziato a studiare l’indonesiano e che, la prossima volta che torno, l’idea è quella di fare quattro chiacchiere con qualcuno almeno un’ora al giorno; lui ha annuito e mi ha detto “Sì, ma non dev’essere un qualcuno a caso.”

Ah no?

“Stai con un bambino di cinque anni e vedrai quante cose impari.”

Non ci avevo pensato, e come dargli torto, che lui lo sa bene.
Anche da un pranzo in una casa very simple si imparano tante cose.

12 pensieri riguardo “Bali: quando il pranzo in famiglia è dall’altra parte del mondo”

    1. Ti ringrazio!
      Felice che venga apprezzata l’attenzione per ciò che a prima vista sembrerebbe non meritare una riga e invece…fa la differenza. Almeno per me, eh! Liberi di contestare 😉
      Certo che mi va di dare un’occhiata, passo volentieri a fare un giro 🙂

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  1. Dico che sei troppo brava a descrivere scene e sensazioni….leggendoti, mi vengono a galla anche le mie, quelle che non ho saputo mai tradurre in parole. Continua a pubblicare, Cabiria, è un vero piacere leggerti.

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    1. Ti ringrazio Susanna!
      Mi hanno detto che la scrittura è una specie di auto-terapia: non so se metterla proprio in questi termini, ma so che a me fa bene, perchè mi mantiene in contatto con sensazioni che altrimenti è facile lasciar sfuggire, senza accorgersi.
      E se questo funziona anche con le sensazioni degli altri…beh, è uno stimolo in più, sicuramente!
      Grazie ancora per avermi dato modo di scoprirlo 🙂

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