In effetti l’anno scorso ho raccontato di come ci si arriva a Ubud (“All the roads lead to Ubud”), ma alla fine mi sono persa un po’ per strada e mica l’ho detto cosa si trova una volta arrivati.

Com’è che si dice, che va di moda?
Quello che conta è il viaggio e non la destinazione e bla bla bla.
Ok, ma in alcuni casi pure la meta ha un suo perché!
Nel caso di Ubud ce l’ha eccome, quindi provo a rimediare ora.
Nota alle folle come centro culturale di Bali e meta irrinunciabile per chiunque si trovi a calpestare il suolo dell’isola degli dei, Ubud si presenta come un groviglio di facce occidentali che si sforzano di fare le alternative per far vedere di essere nel posto giusto, esattamente dove deve stare la gente che ci deve stare.
Ho da sempre un sentimento un po’ ambiguo nei confronti di questo posto: da una parte mi ricorda Byron Bay (e chi mi conosce sa che quel covo di alternativi si è preso per sempre un pezzo del mio cuore), dove la gente mezza allucinata che cammina per strada a piedi nudi non la nota nessuno perché è normale così, dove ci sono caffè green, bio, eco, vegan, organici e tutto il carrozzone che gli va appresso, meglio se un po’ strano.

Dall’altra parte la percepisco un po’ artificiale, con le file di negozi che non ne vedi la fine e le vie del centro perennemente congestionate di mezzi a due o più ruote.
La mia Bali non ha il rumore dei motori e dei clacson, Ubud è un gran casino.
Eppure.
Eppure mentre alzi gli occhi al cielo perché ti arriva l’ennesima strombazzata o perché ti becchi il nordico con sandalo e calzino bianco (pure qui arrivano, non ci si salva più, mannaggia a loro) capita che vieni distratto da quel dettaglio che ti ricorda che porca miseria sei a Bali e chi se ne frega di tutto il resto, sei nel centro di una delle isole più belle del mondo e se il nordico vuole farsi riconoscere anche qui saranno pure fattacci suoi, beata ingenuità.

I clacson invece tocca beccarseli.
Devo ancora capire come rapportarmi con Ubud, è un po’ come col fratello che ci litighi una volta sì e l’altra pure ma come fai a stare senza, non puoi, quando non c’è ti manca.
Sarà un po’ colpa del libro (di ragazze con “Mangia, prega, ama” tra le mani anche stavolta ne ho viste un paio, e non mollano in effetti) o sarà che ogni isola che si rispetti ha il suo polo new age, fatto sta che è così e forse non bisogna porsi troppe domande, forse il bello di Ubud sta proprio nell’imparare a stare in equilibrio tra le sue contraddizioni: la Sacred Monkey Forest da una parte della strada e la vetrina scintillante dall’altra.
Una perla come il Ganesha Bookshop e il ristorantone che riempie bocche a catena di montaggio.

Kuta, Legian, Seminiak, per fare tre nomi a caso sulla costa ovest, in questo sono più sfacciate, più ingenue forse: se uno mette piede da quelle parti sa benissimo cosa lo aspetta, anime semplici le loro.
Ma Ubud ammalia, c’è da ammetterlo. Con quel suo lato misterioso ti frega e ti attrae, non le scappi.
Quindi come finisce.
Finisce che la smetto di farmi troppe domande e la vivo per quello che è, sacro e profano, tradizionale e moderno, o forse è meglio dire posticcio?

D’altra parte non è che ci si possa aspettare qualcosa di diverso da un posto dove la statua di una scimmia che sbraita al cellulare da dentro il suo colletto bianco sta sulla via che porta al tempio.
Benvenuti a Ubud!
Ora io mi chiedo… Ma i nativi se la godono così la loro terra, come te la sei goduta te? Mi piacerebbe provare tutto questo anche in un posto come Gattolino, che non ci son mai stato, e non è poi così lontano… O forse star così anche nel mio cuore, ecco… So solo che quando sorrido cerco di fare cartoline simili a certe fotografie… E boh… Mi sento sempre un pirla, fuori luogo… In questi giorni andrò a far due passi a Gattolino! Ah…
CIAO!!!!!!!!!!!
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Penso che quando non c’è bisogno di andare da nessuna parte per godersi la propria terra si è arrivati là dove si doveva arrivare.
Aspetto le foto di Gattolino! 😉
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A quel punto prenderò ramoscelli, paglia e fiori per costruire un nido fighissimo! Avrà anche il portico col barbeque!
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Per me la carne al sangue, grazie!
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Così è se vi pare … non per far citazioni ma forse per lo stesso motivo per il quale starei ore a leggere chi scrive con la pancia ed il cuore, come te (se mi permetti), lo stesso motivo che porta certe persone a “guardarci dentro” ai luoghi ed anche al prossimo per rimanere, talvolta, incantati!
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Questo commento è stupendo, grazie di avermelo scritto!
Permettiti pure, è la cosa migliore che mi si possa dire 🙂
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😀 Sì, ho capito cosa intendi.. Byron.. Parlo più o meno della stessa cosa nel mio articolo su Byron.. 🙂
Penso che anche questi luoghi siano in qualche modo da vivere. Probabilmente chi cerca un po’ sotto la superficie avrà con questi posti sempre un sentimento di amore travolgente ed odio profondo.. un’alternanza di sensazioni da cui poi non ci si riesce a staccare..
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Sì, è proprio quello il punto: sotto la superficie.
Se non ci si accontenta dello stereotipo (che è comodo, per carità!) ci si trova a fare i conti con altro. Il bello sta nel vedere dove si va a finire 😉
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Molto spesso, troppo, accade che i luoghi vedano oscurato il loro senso, perdano la loro essenza, per quello che ne facciamo.. però, sai, basta allontanarsi un po’, cambiare lo sguardo, cercare il dettaglio, per vederceli restituiti appieno…
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Assolutamente d’accordo, sta a noi e al nostro modo di guardarli e di viverli 🙂
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