Hawa Mahal cabiria magni

Jaipur, quella rosa

Sono sempre più convinta che per apprezzare davvero un posto bisogna perdercisi e forse Jaipur l’ho apprezzata proprio per questo.

Jaipur cabiria magni
Streets of Jaipur, the pink city

Jaipur la città rosa, quella che tra le tappe nel Rajasthan mi ha regalato un qualcosa in più, io che avrei fatto carte false per quella blu di città, bellissima pure lei, eh, ma Jaipur.

Sono arrivata con in testa le immagini colorate e linde, sì, questo è l’aggettivo giusto, del film “Marigold Hotel”: l’avete visto?
Io l’ho scoperto quest’estate sul volo di ritorno da Bangkok, e appena rientrata dall’India me lo sono andata a rivedere.

Inutile dire che di questa città avevo un ricordo, se si può avere un ricordo di ciò che non si ha visto mai, più ordinato e pulito, ma alla fine sapete che c’è?
Che l’originale ha molta più personalità!

La città vecchia se ne sta rinchiusa tra le sue mura rosa, merlate come un velo di una madonna siciliana; l’interno esplode di viandanti, venditori e mendicanti, in un formicaio di quelli che non si incontrano tutti i giorni (beh, in India forse sì).

Jaipur cabiria magni
Jaipur, “streetshop”

La città è un bazar a cielo aperto, un gran caos organizzato per settori, a seconda delle mercanzie: cammini per le vie e le pashmine colorate sfuggono al tetto di un porticato per accarezzarti la faccia, che ti eri girato giusto un attimo e ti stanno addosso prima che te ne accorgi.
Poi giri l’angolo e ti imbatti in un’accozzaglia di pentolame vario, giusto prima di finire in mezzo ai libri.

A Jaipur è bello perdersi.

A Jaipur si fanno incontri che non ci si aspetta mentre col naso in su si cerca di guardare ovunque, che come ci si mette sembra sempre di perdersi qualcosa.

“Go there, there’s a nice view!”
Ma dove?
“There!”

Dalla strada un signore senza età indica un palazzo con una scala scavata nella pietra, di quelle scalcagnate, e dice di salire, che da là sopra la città rosa si vede bene e soprattutto “It’s free!”
Beh, andiamo.

Lassù c’è Raj che ti dice salire ancora, fin sopra i tetti, e intanto ti regala qualche stralcio di vita vissuta, che quest’anno non ci sono troppi turisti e che più che altro sono indiani-di-altri-stati.

Ti dice con una smorfia che il City Palace è una porcheria commerciale buona per stranieri da spennare e ti consiglia di andare piuttosto a vedere il Water Palace, che quello sì che merita.

water palace cabiria magni
Jaipur, water palace

Non fai in tempo a chiederti se tutta questa gentilezza nasconda una qualche voglia di vendere qualcosa che subito vieni liquidato “Sorry, but I’ve to go to work now, you should move.”
Ok, ok, vado!

Però che vista quella da lassù. E insieme ad un paio di occhi indiani viene anche meglio.

Ma devi andare.
Allora torni nel mondo vero e continui a perderti, ti fermi a comprare diari che non farai fatica a riempire, e per strada recuperi qualcosa da mangiare, che lo street food in India…eh!
Ci siamo capiti.

Poi decidi che comunque un salto al City Palace ce lo fai perché insomma, sarebbe come andare a Parigi e non dare nemmeno un’occhiata alla Torre Eiffel, non si può, non facciamo gli alternativi a tutti i costi.

E finisce che ti fai riempire il braccio di hennè, che si arrampica dalla mano coi suoi mille ghirigori.
Tanto di tatuaggi veri ne hai già pochi e uno in più che sarà mai.

henna cabiria magni
Henna tattoo, foto di Raffaele (www.raffaeleangelillo.it)

Poi, mentre la pasta si sta seccando, entri nel Palazzo dei Venti, l’Hawa Mahal, quello che lo vedi su tutte le cartoline, che sembra un vero e proprio alveare, tant’è pieno di finestre: le donne della famiglia reale in qualche modo dovevano buttare l’occhio sulla strada.

Hawa Mahal cabiria magni
Jaipur, Hawa Mahal

Ma Jaipur è anche la città di uno dei ristoranti che ho preferito in assoluto, il Ganesh Restaurant, arroccato sopra le mura nei pressi di una delle tante porte: qualche tavolo che qui da noi neanche un rigattiere tiene più e tutta le gentilezza del mondo, che si rivela con la semplicità di un giornale che ti viene infilato sotto al fondoschiena, perché le sedie in ferro la notte sono fredde, almeno non ti congeli troppo.

Sei lì, sopra una delle tante vie piene di botteghe, in una sala a cielo aperto larga quanto un muro di cinta e ti mangi l’ennesimo paneer. Il panorama non è di quelli da ricordare, qualche cavo arrotolato come si può e un parchetto buio, ma a Jaipur il panorama non serve.

In realtà, a pensarci bene, il panorama non serve mai, che tanto non è mai quello che ti riporti a casa.

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