L’ultima volta che ne ho parlato da queste parti, l’ho descritta come una “città infinita”, che si evolve e si trasforma con chi la visita. Dopo l’ultimo viaggio, lo scorso mese, mi sento di confermare tutto: per me New York è ancora questo.
Per i ponti di primavera siamo tornati a New York, stavolta in cinque: un viaggio di nove giorni in famiglia, con i nostri figli di tre, cinque e quasi sette anni.
Nove giorni a New York sono tanti?
Ovviamente la risposta è soggettiva e nel mio caso è “no, non sono tanti”.
Con i bambini, poi, non dico che siano il minimo, ma poco ci manca. Chiaramente ognuno viaggia a modo suo e molto dipende anche dal fatto che si tratti di un primo viaggio o di un ritorno; nel nostro caso era un quarto ritorno, ma forse noi non siamo molto rappresentativi come campione e questo la dice lunga su come in realtà per alcuni posti vale un po’ tutto.

Ma veniamo alle questioni pratiche, che poi sono il motivo per cui sto scrivendo questo pezzo.
Prima di partire, dopo aver acquistato i biglietti, aver rinnovato ben cinque passaporti (impresa titanica di questi tempi) e fatto gli ESTA, ho scaricato l’app Mobile Passport Control (MPC), con la speranza di snellire la burocrazia all’arrivo: scommessa vinta.
Di cosa si tratta? In sostanza è un servizio che permette di caricare in anticipo le informazioni di chi viaggia, compilando anche il form per la dogana, e che una volta arrivati permette di accedere a una corsia dedicata per i controlli. Non tutti gli aeroporti sono già abilitati, quindi controllate se la vostra destinazione lo è. Nel nostro caso, il JKF consentiva questa opzione, e così all’atterraggio abbiamo risparmiato almeno un paio d’ore di attesa, a giudicare dal serpentone infinito che c’era per gli altri accessi.
Per sapere nel dettaglio come funziona l’app, lascio questo link di Simona Sacri, che è lo stesso che ho usato io per documentarmi, e aggiungo solo una cosa, che ho scoperto vivendola: per poter usare l’app bisogna essere già entrati almeno una volta negli Stati Uniti con l’ESTA (non per forza quello corrente), ma nel nostro caso questo criterio era soddisfatto solo per 4/5 dei viaggiatori, quindi sono stata dubbiosa fino all’ultimo. Ho pensato che valeva la pena tentare, quindi come da istruzioni ho creato un gruppo per la famiglia intera, sottoponendo un unico form, dopodichè ho fatto tutti gli scongiuri del caso. Alla fine siamo passati senza problemi.

Una volta atterrati (sorvolo, è proprio il caso di dirlo, sul delirio che ha combinato American Airlines cancellandoci i posti prenotati per riassegnarne altri a caso, dove tre bambini avrebbero dovuto viaggiare da soli, rispettivamente diciotto e diciannove file dietro ai genitori, ma amen, abbiamo risolto anche questa) ci siamo diretti verso Manhattan, dov’è iniziata l’avventura. Per farlo abbiamo scelto Lyft: non so se sapete che c’è la possibilità di prenotare le corse con anticipo, e che il prezzo calcolato all’orario della prenotazione potrebbe essere ben diverso da quello che viene calcolato per una richiesta immediata. Vale sempre la pena (soprattutto per i viaggi più lunghi) fare un doppio controllo.
Nella tratta JFK – Manhattan la differenza di costo tra Lyft e Uber era di circa 40$, motivo per cui abbiamo optato per la prima soluzione.
In viaggi come questo, le difficoltà maggiori forse sono due: scegliere bene le tappe, con la consapevolezza che il rischio di non spuntare tutta la lista è molto alto, e “convincere” dei bambini a macinare chilometri ogni giorno per raggiungere qualcosa che tendenzialmente non sta in cima alla lista dei loro desideri. Alzi la mano chi non ha figli che si trascinano distrutti dopo soli cinque metri a piedi, salvo poi recuperare d’un tratto lo smalto e le forze di un velocista (ma pure di un maratoneta) alla vista del primo parchetto utile.
Lo so, lo so.
La scelta delle tappe – anche stavolta “poco ma buono” come stile di vita.

E qui il primo posto non poteva che essere per l’High Line: se avete letto l’articolo che ho linkato all’inizio, sapete che era nei piani – poi miseramente falliti – anche l’altra volta. Se non l’avete letto e ve ne state pentendo, ve lo ripropongo qui. Dovevo rifarmi, ormai era una questione personale (spoiler: ce l’ho fatta).
Summit One Vanderbilt: volevo salire su un grattacielo per me nuovo, e questo mi è sembrato il migliore anche per i bambini, che tra specchi e palloncini argentati si sono divertiti tantissimo.
Strand: da amante della lettura, non volevo perdermi una delle librerie più iconiche della città. Non potendo trascinare tutta la famiglia in tutte le librerie, tour che da sola forse avrei fatto, ne ho scelta una (complice forse anche la serie Netflix “Dash & Lily”, che probabilmente ho visto solo io, oltre a qualche parente degli attori).
Saint John the Divine: per vedere la pala di Keith Haring, una delle sue ultime opere.
Come “convincere” i bambini alla maratona urbana
E qui in realtà metto altre tappe, che non ho riportato sopra, proprio perchè pensate per tenere vivo l’interesse dei più piccoli e dar loro degli stimoli per camminare (abbiamo quasi sempre fatto circa 15km al giorno: penso di non essere presuntuosa se dico che ha funzionato!).

Le icone della città: la Statua della Libertà in primis, il ponte di Brooklyn, i grattaceli più alti. Li abbiamo preparati a tutto questo fin da casa, con dei libri e delle attività ad hoc, e una volta arrivati sul posto erano meravigliati di poter vedere (e riconoscere) nella realtà ciò che avevano sperimentato sulla carta.
Central Park, con Central Park Zoo e Tisch Children Zoo: le tappe al parco sono state un must del viaggio e un giorno abbiamo aggiunto anche lo zoo “per vedere se ci sono i pinguini di Madagascar”. Il biglietto del Tisch Children Zoo, che è più una via di mezzo tra un parco giochi e una fattoria didattica, è compreso ed è una tappa che piacerà sicuramente, soprattutto ai più piccoli.
Museo di Storia Naturale: da che mondo e mondo, pressoché in ogni bambino si nasconde un paleontologo. Come non approfittare di questa legge non scritta della biologia, per visitare uno di quei musei che ancora mi mancavano?
La caserma dei Ghostbusters: dove di fatto non c’è granché da vedere perchè neanche si può entrare, ma vogliamo mettere l’hype che sanno ancora creare Slimer e soci? Libri da colorare per tutti, come ringraziamento per essere passati.

I murales di Kobra: ho la fortuna di avere dei figli che sanno apprezzare il bello e abbiamo sfruttato questi murales per inscenare una vera e propria caccia al tesoro. Ho creato una mappa personalizzata su Google (che magari posso condividere in un post dedicato) con diversi livelli, uno dei quali dedicato proprio ai murales dell’artista brasiliano a Manhattan, e abbiamo inscenato una sorta di caccia al tesoro, giocando a chi trovava per primo le varie opere. Come premio, una foto coi murales! Facile.
Varie ed eventuali, della serie “old but gold”: il negozio dei Lego sulla Quinta Strada, quello degli M&M’s a Times Square, il negozio di Levine in Flatiron, per “i cookies più buoni della città” (parola di locals), e ovviamente parchi giochi! Al primo posto del podio, a giudizio unanime, il parco giochi vicino al Pier 26, Hudson River Park, che io beceramente chiamavo “il parco giochi della balena”, ma che invece, come mi è stato fatto notare dal Jacques Cousteau di casa, trattavasi di storione. Chiedo venia.
E tanto altro ancora, perchè l’elenco per nove giorni non si esaurisce certamente ai pochi punti qui sopra, ma la pazienza di chi legge forse sì, e allora mi riprometto di approfondire (e aggiungere) le varie tappe con dei post dedicati (magari partendo proprio da quello dell’itinerario), in modo che ognuno possa scegliere di soffermarsi solo su ciò che gli interessa.
Di base, dopo questo altro viaggio, il primo intercontinentale in cinque, posso solo ribadire ancora una volta che è vero, magari i bambini non si ricorderanno tutto, ma gli adulti sì e queste sono storie che possono essere raccontate e raccontate di nuovo, andando così a contribuire a quella che sarà la storia della famiglia.

E mi sento anche di escludere che viaggiare sia solo un capriccio per grandi, che i piccoli si trovano a subire loro malgrado. Mi sento di farlo perchè ho visto i miei figli realmente emozionati: davanti alla pala di uno dei miei artisti preferiti (con conseguente interrogatorio alla sottoscritta su vita morte e miracoli del soggetto in questione), davanti a un grattacielo, che fino al giorno prima era solo carta da colorare e che adesso era lì a farsi riconoscere dall’occhio più attento, davanti a una vetrata, nell’attesa di veder comparire Spiderman tra i palazzi, proprio come nella notte di Natale con la slitta magica.
I miei figli non si ricorderanno l’indirizzo della cattedrale, del grattacielo e di quella finestra che li ha fatti sognare, ma sicuramente le emozioni di quei momenti rimarranno. Non solo in loro, ma anche in chi le ha vissute semplicemente standogli accanto.
Detto che mi fa impazzire che ancora in LIKE & SHARE ci sia il simbolo del defunto (ahinoi!) Twitter, sono d’accordissimo che il viaggio (e tutto il cucuzzaro annesso) vale anche solo per vedere che “(…) le emozioni di quei momenti rimarranno. Non solo in loro, ma anche in chi le ha vissute semplicemente standogli accanto.”
E’ capitato a me la scorsa settimana a Pompei e costiera con la adorata nipotina 9enne.
Anche se sarebbe ora di pensare a dove si va, ai soldi che spendiamo andandoci ed a come questi poi li useranno.
Ma questo è un altro, lungo e vecchio discorso.
Bentornata Cabiria…
"Mi piace""Mi piace"
Ciao Ernesto, grazie per essere passato! La tua nipotina si sarà sicuramente divertita un mondo 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona