Incanto

Ci sono parole che ispirano, stamattina mi è successo con questa, incanto.

Scusate il post che non c’entra niente, ma ogni tanto è bello così.

Provate a fermarvi un attimo a pensare al suono di questa parola, oltre che al significato: è come se quella “c” schioccasse la porta su altri mondi che se ne stanno lì buoni e pronti per essere scoperti.

Incanto è la parola che mi è venuta in mente quando ho visto la foto di una risaia del Laos (lo so, c’ho una fissa, prendetemi così, non si guarisce): in Laos dicono che la differenza tra un raccolto e un buon raccolto passa da come si sta a guardare il riso che cresce. 

Kastala rice terraces, Bali

Che se ci pensate è una cosa stupenda, forse proprio perché non ci si pensa.

Puoi aspettare la stagione giusta, seminare come ti hanno insegnato da piccolo (credo sia così che funzioni laggiù, chiederò), sperare nella pioggia, tenere d’occhio il sole e pregare qualche dio lontano.

Ma se non ti siedi di fianco al tuo riso a guardarlo crescere, tutto questo non serve a nulla; o meglio, servirà anche, ma non è la stessa cosa.

Noi non coltiviamo riso (almeno non credo, ma se c’è qualcuno che lo fa, mi faccia un fischio, che sono curiosa), ma non è che di sta cosa ce ne dobbiamo fregare. 

L’altro giorno stavo parlando con un ragazzo svedese che a Milano ci è arrivato per lavoro: ad un certo punto ho letto l’incanto nei suoi occhi per una cosa che gli ho detto, vedi come sta messo.

Non la faccio lunga sulla discussione, che tanto non interessa a nessuno, ma a sua domanda sul perché di certe mie scelte e certi miei atteggiamenti ho risposto “I always keep my eyes opened”; si è bloccato e a dirla tutta ha fatto bloccare anche me: che per caso ho detto qualcosa di male?

No, però avevo finito di seminare e mi stavo dimenticando di sedermi a guardare il riso.

Kastala rice terraces, Bali

Sempre sta fretta e sta bulimia di frasi e oggetti, che ti fa dimenticare che anche due parole dette ad un certo punto e in un certo momento pesano: mi sono fermata a pensare un po’ con lui, e in effetti non è che gli ho detto proprio una stronzata.

A volte dovrei avere più pazienza per stare con me stessa, anche solo per sfottermi un po’.

Grazie Nic, perchè questa città che tante volte pare grigia non è poi così burbera come si crede: se la guardi con la lente dell’incanto diventa verde quanto una risaia del Laos o della mia isola degli dei.

Grazie che mi hai ricordato che era ora di temperare la mia voglia di stare nel mezzo delle cose, che con una bella punta si disegna meglio.

E grazie al Laos, che come dice Tiziano non è un paese, ma uno stato d’animo (ci arrivo, promesso).

Scusate questo post, giovedì torno in Australia, non bidono.

Ma oggi è martedì e il mio spirito zen mi ha tirato un’altra volta la giacchetta, mentre in metropolitana sognavo le mie prossime destinazioni.

Ad occhi aperti.

Hove: lo stopover che non ti aspetti.

Il post di oggi è a tutti gli effetti uno stopover prima di cambiare nuovamente zona, poi ci sposteremo un po’ più…al centro.

Ma ora voglio spendere qualche parola per quello che si è rivelato un piccolo colpo di fortuna.

Sì, perché al ritorno da Kangaroo Island, in attesa di prendere l’ennesimo volo la mattina successiva, capita che uno si chieda: ma perché stare a rientrare in Adelaide per poi uscire subito?

In effetti non ha molto senso arrivando da sud.

A meno di improrogabili impegni, ça va sans dire. 

Fatto sta che in questo modo ho avuto il piacere di conoscere Hove, piccolo sobborgo marino della capitale del South Australia

Sunset @ Hove, South Australia

Hove di fatto è un molo che si intrufola nella terraferma sottoforma di Jetty Road, via colorata e chiassosa (non fino a troppo tardi la sera però!), affollata di negozi, bar e ristoranti; è il posto perfetto per una tappa di mezza giornata all’insegna del relax prima di ripartire per altre mete. 

Hove, to the Jetty

Belli carichi. 

Sarà per una fissa mia, ma anche in questa occasione sono stata bene attenta a scansare i ristoranti italiani, che di certo non mancavano, per ripiegare su un locale (Montpellier 3 Café) gestito da un ragazzo di Hong Kong: cucina fusion ha buttato lì lui, che dal menù non si capiva troppo bene, ma ok, promette bene e tanto mi basta. 

Senza stare a formalizzarci sulle definizioni, la scelta si è poi rivelata di quelle azzeccate, ho mangiato uno dei migliori curry di pollo di sempre, e come al solito sono andata a dormire con una certa pesantezza, che quando si mangia orientale chi si tira indietro: non cambierò mai, troppo tardi. 

A proposito di dormire, impossibile non segnalare il bed & breakfast Searenity, a trecento metri dal mare in zona tranquilla, con dei padroni di casa assolutamente squisiti e…una sola camera! 

Searenity Bed&Breakfast, Hove

E’ praticamente come essere in famiglia, lo si capisce soprattutto la mattina, quando ci si sveglia col profumo della colazione che arriva saltellando dal salotto: una colazione che sa di casa e di muffin appena tolti dal forno, ma anche un po’ di vegemite, per dirla tutta, che a quell’ora forse è meglio di no, o almeno, io non ce l’ho proprio fatta! 

Però l’after eight che ho trovato sul cuscino al mio arrivo l’ho divorato subito: la signora ha azzeccato il mio cioccolato preferito, quindi come non mettere il Searenity tra i ricordi più dolci?

La prossima settimana…alziamo la temperatura!

Viaggi, tatuaggi, pensieri e fotografie di Cabiria, una fissata con l'Asia, che ogni tanto scappa anche a Ovest.