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Spiritual travelling

“In Italia fate il funerale solo al corpo, qui lo facciamo anche allo spirito.”
A parlare è il buon vecchio Gusde, durante il viaggio verso Legian, per il mio week end sulla west coast.

Il percorso è costantemente interrotto dalle ormai famigerate schiere di balinesi intenti a marciare “They’re practicing!”, mi continua a ripetere. Spiego di che si tratta: il 17 agosto è l’Independence Day indonesiano, e studenti, pubblici ufficiali, e chi più ne ha più ne metta, si stanno esercitando per le diverse parate che si terranno in ogni cittadina di ogni isola; ovviamente lo fanno in mezzo alla strada incuranti del traffico, sotto un sole che li cuoce, e che cuoce i disgraziati che si devono fermare ogni volta che incontrano uno stormo di questi patrioti con le facce luccicanti di sudore e con una specie di paralisi appiccicata al posto di un sorriso.

Ho perso il conto delle volte che ci siamo fermati: ma li mortacci loro!
Gusde allarga le braccia e tracanna un po’ della sua acqua “Che ci vuoi fare, fino al 17 è così, e il 17 non conviene proprio muoversi!”
Ricevuto.

Oltre a questi simpatici siparietti, a rallentare il nostro percorso ci si mette pure la tipica cerimonia (qui ogni giorno se ne trova una, per un motivo o per l’altro), ma in questo caso la sosta si rivela fortunata, perchè apre le porte ad un interessantissimo racconto.

Gusde appartiene al clan dei Brahmini, uno dei nove clan in cui è divisa la popolazione di Bali; missione del brahmino è quella di insegnare, ed è così che inizia a spiegarmi in modo accorato cosa sta succedendo.

Ci troviamo giusto davanti al Pura Goa Lawah, che ho visitato qualche giorno prima con Hanom, e che significa “Tempio della grotta dei pipistrelli”, Bat Cave per gli amici qui della zona, che fa tanto Gotham City.

Il Pura Goa Lawah è uno dei nove templi direzionali di Bali, ossia quei templi che per un determinato motivo hanno una particolare importanza, e che quindi non possono essere di proprietà di una sola comunità: appartengono a tutta l’isola.

La Bat Cave rientra in questa categoria, perchè è una tappa del cosiddetto “Spiritual Travelling”.

Come già avevo accennato, a Bali il funerale è una faccenda piuttosto seria: quando una persona muore viene cremata, tendenzialmente; questo viene fatto subito, se la famiglia se lo può permettere, o altrimenti non appena viene raccolto il denaro necessario (spesso vengono bruciate solo le ossa, il corpo fa in tempo a decomporsi: la cremazione è molto costosa e ci vuole tempo per mettere da parte il giusto gruzzolo).

E questo è il funerale del corpo, appunto.

Segue il funerale dello spirito, che comporta un pellegrinaggio piuttosto impegnativo; anche in questo caso, quindi, chi può permetterselo lo intraprende subito, giusto il tempo di organizzare (da tenere presente che si muovono decine, se non centinaia di persone), chi non è così fortunato deve invece raccogliere il denaro necessario, di nuovo.
Nel frattempo le ceneri riposano nell’ormai noto family temple (non è raro che si compiano pellegrinaggi multipli, in alcuni casi: pare ruvido a dirsi, ma i morti fanno in tempo ad “accumularsi”).

Il pellegrinaggio parte dal family temple, appunto, e per i balinesi dell’est prosegue fino alla Bat Cave, dove si tiene la prima cerimonia: lo spirito viene “lavato” e purificato, e tutte le scorie vengono gettate nel mare, secondo un rito ben preciso (da sapere che il balinese, anche quando è in vita, se vuole liberarsi di un malessere di qualsiasi tipo va in spiaggia, e guarda il mare: impossibile stare senza).
Tutta la famiglia segue il sacerdote, tra incensi, preghiere, sigarette e una gran quantità di cibo: è una festa, niente tristezza, si tratta di indù (e la maggior parte delle volte è passato talmente tanto tempo dalla morte, che il caro estinto non lo conosce quasi più nessuno).

Perchè proprio la Bat Cave (ci sono migliaia di pipistrelli là dentro, è una cosa impressionante, come per altro la puzza che esce da quell’antro: da far accaponare la pelle)?
Perchè la leggenda dice che la caverna prosegue dentro la montagna e arriva fino al Pura Besakih, tappa successiva del viaggio, a circa 19km di distanza, ma a quanto pare, nessuno si è mai preso la briga di verificare questa cosa.

Noi prendiamo insieme al corteo la strada canonica, e arriviamo dunque al Pura Besakih (solo in senso letterario, perchè io stavo andando a Legian, che è esattamente dalla parte opposta), altrimenti conosciuto come Mother Temple, il tempio più importante di tutta l’isola, costruito alle pendici (siamo a circa 1000mt di altezza) del Gunung Agung, la montagna più alta di Bali.

Sì, perchè dopo la purificazione del mare, lo spirito deve elevarsi verso l’alto: si celebra quindi un’altra cerimonia nei pressi di questo complesso che conta ben 23 templi, e finalmente le ceneri vengono collocate all’interno del tempio dedicato al clan di appartenenza.

Lo spirito ora è libero, e puro, pronto per transitare verso la prossima vita.

Gusde è sempre una fonte inesauribile di informazioni interessanti: mi ha raccontato di questi viaggi, dei clan, dei sacrifici, dell’importanza di mantenere il giusto equilibrio (“everything is balance, here”), e anche della cucina, per la quale ho già promesso post futuri: sto giusto raccogliendo materiale, anche con l’aiuto della nostra impareggiabile cuoca, Wenten, che stresso quasi ogni sera, mentre intreccia le foglie di banano per la cerimonia del fuoco delle 5 del mattino.

Nelle risaie sotto l’equatore, le mondine hanno il cappello a punta

Finora li avevo visti solo nei cartoni animati, confesso, ma esistono davvero!
Parto verso le 8 con Belly, la mia guida: la mattina la vista è migliore, dicono, e fa meno caldo.
Destinazione Kastala Tenganan, ovvero le risaie della zona est dell’isola e un villaggio remoto ma non troppo, dove hanno affinato l’antica arte della sopravvivenza vendendo manufatti di ogni genere a chiunque abbia lineamenti tendenti all’occidentale.
All’ingresso delle risaie siamo salutati da un’allegra banda di teppe: massimo 60 anni in sei, ma anche meno, che se ne sta a giocare e canticchiare (domenica niente scuola, è una legge universale) incurante del tempo che passa.
Belly è una chiacchiera unica, da stordire! Lo ascolto e ogni tanto mi estraneo, distratta dal paesaggio che mi circonda, e anche per dar tregua ai timpani, ammetto.
Certi scorci finora rubati solo a fotografie altrui tolgono il fiato, impossibile far passare con le parole queste sensazioni: privilegio per pochi.
Belly continua a raffica, e, mentre mi racconta dei metodi di coltivazione, cerca di trovare qualche serpente da mostrarmi: gli dico di non darsi pena, faccio anche senza, davvero!
Tanto per cambiare, si finisce per parlare di templi (non si scappa!), e vengo informata del fatto che qui vicino c’è uno sky temple; ora, giusto per fare un po’ di casino, i templi sono anche dedicati agli elementi (basta che si preghi, insomma): abbiamo quindi, giusto per citarne un paio, i famosissimi water temple (come il Tanah Lot, ma ne parlerò tra un po’), disseminati lungo le coste, e gli sky temple, appunto, più all’interno.
Sky perché sono costruiti in modo tale che il pellegrino, affrontandoli, possa raggiungere il cielo (non in QUEL senso, ma data la tipologia di ascesa, non mi sento di garantire): hanno mille scalini da salire, e il numero non è buttato a caso, sono davvero mille!
Belly mi spiega che per affrontare uno sky temple bisogna avere la mente totalmente libera, vuota, e già io mi aspetto un prosieguo squisitamente filosofico, mentre chiedo in che senso. Risposta: “Devi per forza avere la mente vuota, perché se ci pensi, come cavolo li fai mille gradini? Non ci arrivi più in cima!”
Il karma di Belly è molto pragmatico. Non fa una piega.
È poi la volta della storia di Amreen e Lokesh, i Romeo e Giulietta versione indù: nemmeno con un sari addosso i due se la cavano meglio, moriranno entrambi senza poter coronare il loro sogno d’amore, ma saranno felici nel Nirvana.
Mostro tutto il mio disappunto a Belly: possibile che si debba aspettare per forza il Nirvana per essere felici? Nessuno ce la fa prima? Questa cosa inizia ad infastidirmi.
Mi guarda e ride: “Se credi, che ti importa se è prima o dopo? Non cambia nulla.”
Ecco, Belly, forse è la premessa che mi frega.
Rientriamo che l’ora di pranzo è passata, mi prendo un gelato al mango, pago e mi danno il resto in caramelle: “You get back what you give” mi sorride la ragazzina dietro al bancone, tendendo la mano.
Anche questo è karma, o solo svalutazione?

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