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Marsiglia in un giorno: si fa, ma poi viene voglia di tornare_parte 1

Ho girato Parigi in un giorno, cosa ci vuole a Marsiglia.

Dal punto di vista della logistica non fa una piega, ma come nella maggior parte delle situazioni di questa vita, sono i sentimenti quelli che fregano.

Dei sentimenti parlerò prossimamente, qui facciamo quelli aridi e sbrighiamo il lavoro sporco: in un giorno solo, cosa si riesce a vedere di questa città che col suo porto per malfattori di un certo livello si è fatta la fama della cattiva ragazza e mai rappresentazione fu più mendace (oddio, inizio a fare le frasi lunghe e certe cose si perdonano solo a Saramago)?

Proviamo a rispondere partendo con qualcosa che le guide rispettabili in genere lasciano stare: il mercato.

Avenue du Prado, mercato

Sì, se siete in questa città ed è sabato, la mattina andate a fare un giro al mercato, quello di Avenue du Prado, una delle arterie principali, e arrendetevi alla fiumana che vi si parerà davanti.
Bel suggerimento, direte, ma a parte il fatto che alcune bancarelle sono davvero niente male, cosa di meglio per immergersi nel vivo e iniziare a prendere qualche misura sul serio? Una boccata di folla ci sta sempre bene.

Da lì potete poi raggiungere a piedi Notre Dame de la Garde (c’è la metropolitana, ma siete in giro un giorno, godetevi il panorama!) passando per Vauban, il quartiere degli antiquari: approfittate delle indicazioni dei percorsi pedonali, perché sono fatte molto bene ed è impossibile perdersi, e questo vale ovunque.
Seguite il cartello marrone, insomma.

Notre Dame de la Garde dal Vauban

Notre Dame de la Garde, protettrice dei naviganti, si trova in cima alla collina che dà sulla città: da lì il panorama è splendido; se siete romantici ci potete salire per il tramonto, altrimenti va bene per il trekking.
Da queste parti ho avuto quasi la sensazione di stare in una specie di Little Italy, giusto per far capire la concentrazione dei connazionali che bazzicavano intorno alle bifore; mettiamoci poi che anche il suonatore di corno fuori dall’ingresso suonava “‘O Sole Mio” e ci rendiamo conto che c’è chi il mercato lo sa leggere davvero ed è tutto tranne che un dilettante.

Notre Dame de la Garde

Ma abbandoniamo quest’angolo che sembra affacciarsi sul Golfo di Sorrento e invece è il Vieux Port per andare a vedere che c’è proprio da quelle parti.

Se è il sabato giusto (parrebbe che sto suggerendo di andarci proprio in quel giorno e parrebbe bene), su Rue des Lices, strada che si srotola verso il mare, vi imbatterete in una “Vide Grenier”, ossia uno di quei mercatini che ho scoperto essere tipicamente francesi, dove venditori non professionisti si organizzano per svuotare le proprie soffitte, come appunto suggerisce il nome.
E la gente compra!
Un’altra bella zaffata di vita vera e pure di carne alla griglia, che la vendono a prezzi e non puoi non chiederti che animale è che costa così poco, ma il profumo promette bene e allora chi si lamenta.

La Vide Grenier

Proseguendo verso il porto, nei pressi dell’abbazia di Saint Victor, impossibile non imbattersi nel Four des Navettesil forno più antico della città, dove, maddai, si possono comprare le navettes marsigliesi.
Si tratta dei tipici biscotti che fanno il verso alle barche che secondo la leggenda portarono le tre Marie (non quelle del panettone, ma la Vergine, Salomé e Maddalena) sulla costa della Provenza.
Ora io mi chiedo che ci sono venute a fare da ste parti le tre signore, ma magari mi sono persa qualche pezzo, quindi mi limito a riportare per completezza d’informazione.

Four des Navettes

E il sapone lo volevate scansare? Non scherziamo, siamo a Marsiglia.

Ammetto, io ci sono cascata e me lo sono preso, conquistata dal profumo e dai colori del laboratorio di Saint Victor, lì proprio sotto il Four des Navettes: qui non c’è scritto da nessuna parte se il sapone serviva a lavare le barche, quindi non deve essere importante.

Laboratorio Saint Victor

Ecco, ho girato Marsiglia in un giorno e non ce l’ho fatta a raccontarla in un solo post, chiedo venia per la logorrea, ma l’avevo detto che i sentimenti fregano.

Vi lascio quindi con l’immagine del famigerato Vieux Port là in lontananza, che di lui parlerò la prossima volta, come anche di due delle zone che più mi hanno conquistata, Le Panier e Belsunce: la città vecchia e il quartiere magrebino, che a definirlo suk già si dà un po’ l’idea.

#altertrip: di quella volta che a Marsiglia ci siamo andati in pullman_parte II

L’ingresso nel parcheggio antistante la stazione di Aix è di quelli che col pullman prendi dentro un cartello stradale giusto per far sapere che sei arrivato, ma direi che ci sta: non sarebbe stata la degna conclusione del nostro viaggio.

Che poi di conclusione non si può parlare ed ecco il perché.

It's a long way to the top
It’s a long way to the top

I francesi decidono che le biglietterie ferroviarie chiudono alle 19, quindi ci tocca l’acquisto via macchinetta, che non sarebbe una pena, se accettasse le carte di credito (ovviamente moneta non ne abbiamo, solo pezzettoni da 10€ che vengono sputati con sdegno).

Vabbè, tutto si risolve, ormai l’abbiamo capito; compriamo, guardiamo il binario e ci mettiamo in attesa del treno, che puntualmente arriva.
Ci accomodiamo e pare troppo facile.

La carrozza è un andirivieni di persone che tengono per mano trolley più o meno ingombranti ma comunque disciplinati, noi ci guardiamo in faccia con l’espressione di chi sente la vittoria lì ad un soffio.

Se non fosse che.

Se non fosse che pare di captare dalla voce metallica dell’altoparlante là fuori che il treno per Marsiglia è stato soppresso: ma scusa sarà un altro, ci siamo seduti sopra.
Sarà un altro?
Forse è meglio chiedere, che le porte si sono chiuse ma vero è che siamo ancora fermi.

Chiediamo, e la conferma arriva con veste nera addosso e falce in mano: supprimé.

Ma allora che treno è questo?
Eh, è quello che va nella direzione opposta, peccato che nessuno si sia preoccupato di aggiornare i tabelloni vari, e poi dicono Trenord: pare un male comune al Continente intero.

Lo scatto è di quelli che si fanno al massimo due o tre volte nella vita, ma le porte non sono altrettanto reattive e benché ancora bloccati al famigerato binario 1, non ne vogliono sapere di aprirsi.

Il controllore passa quando è troppo tardi e siamo già partiti: mai una volta che si faccia vedere quando serve. E anche questo è un male comune al Continente intero.

Bene, non ci resta che scendere alla prima fermata utile, che tanto sono 15 minuti a dir tanto, ormai che cambia.

Destinazione Meyrargues, in the middle of nowhere.

Meyrargues

Arriviamo alla stazione dopo una tratta in aperta campagna dove non incrociamo nemmeno un ciuffo della tanto famosa lavanda della Provenza, che un po’ ci rimaniamo anche male, avremmo potuto dire di aver deviato per puro spirito agreste.

A Meyrargues il tempo pare essersi fermato e il treno pure: non sto parlando del nostro, che ci scarica in mezzo ad un ghiaione che il marciapiede sarà lungo tre metri e poi dove sbarchi sbarchi, ma quello che avremmo dovuto prendere per tornare indietro, che è fermo in panne sul binario 2.

Così vicini e così lontani.
Così vicini e così lontani.

A questo punto ditelo che è la versione occitana di The Truman Show, su.

Sono passate le 20, siamo in giro dalle 6 e iniziamo ad avere una certa fame: visto il tempo che ci stiamo mettendo avremmo potuto cenare in Qatar, invece ci ritroviamo sopra la panchina di una stazione vintage, col sole che va a spegnersi dietro una massa di ferraglia bloccata.

Ah, no, quello è il capostazione.

Gli chiediamo di scattarci una foto ricordo di questi momenti che comunque non dimenticheremo e lui ci guarda un po’ così, sti turisti dai lineamenti caucasici e l’animo giapponese.

Merçi mon ami, très gentil.

Quando all’orizzonte compare una locomotiva diretta proprio là dove fantastichiamo di arrivare da questa mattina, ci pare di essere ancora nel mondo dei sogni perché no, non sta succedendo a noi. E’ davvero finita?

Stavolta oltre il vetro sfila il paesaggio provenzale, arrossato dal sole di un giorno che quasi si vergona a finire.

Ah, la Provence!
Ah, la Provence!

L’epilogo è di quelli che dopo tutte ste peripezie uno decide di farsi un regalo: una meravigliosa cena indiana, dove ci riempiamo fino a scoppiare (e io prendo pure il dolce, sia mai che salto).

Anche la conclusione della cena è di quelle di poesia pura: dopo alcuni tentativi più o meno goffi, veniamo letteralmente sbattuti fuori dal locale, che ormai la mezzanotte è passata, la giornata è finita e uno a mangiare ci venisse ad un orario decente, invece di stare in giro a perdere tempo!

Our indian dinner

Bene, è il momento dei ringraziamenti.

A Marco, sportivo compagno di mille avventure, che se un viaggio del genere ti capita con uno menoso, finisce che qualche cadavere per strada si lascia volentieri.

Al nostro contatto francese, che ci ha dato modo di scoprire che non è solo Trenord a far casini, ma che anche SNCF si difende molto bene.

Al bus, piccola comunità itinerante che insegna ad affrontare le brutture di questo mondo col sorriso.

A tutti quelli che ci hanno seguito sui social network e pure qui ora, perché senza di loro non sarebbe stato lo stesso: ne organizziamo un’altra tutti insieme (al massimo facciamo due pullman)? L’ultimo che aderisce fa quello che perde il cellulare in autogrill! #sapevatelo.