Il mio viaggio fuori dal Mainland inizia in un famigerato bar di Cape Jervis, di quelli che sembra di essere in un romanzo di Hap & Leonard: chi conosce e ama Lansdale come me, sa cosa intendo.
Diciamo che la speranza è quella di non incappare in qualche rissa, che il rischio è forte.
Cape Jervis è il punto di partenza dei traghetti per Kangaroo Island, esattamente come quando a Genova ti imbarchi per Porto Torres, ma con molta meno gente (e più birra).
Dopo 45 minuti in acque piuttosto mosse si sbarca a Penneshaw, la città dei pinguini (ve l’avevo detto che stavamo andando a Sud): fa strano perché uno i pinguini li associa ai ghiacci del Polo, ma non è che questi animali debbano per forza vivere nel gelo.
Sanno trattarsi anche bene.
Io a Penneshaw ci sono arrivata che l’ora di cena era ormai passata (d’altra parte, quando stai tutto il giorno tra le vigne della McLaren Vale mica ti metti fretta), quindi l’unica cosa che ho potuto fare è stato proseguire in macchina fino a Kingscote, capoluogo dell’isola, dove avevo la camera.
Ma sui pinguini ci ritorniamo (non qui, a dire il vero)!
Anche perché per vederli bisogna organizzarsi prenotando la visita, che non ti fanno andare a zonzo per i fatti tuoi sulle loro spiagge: prometto che a tempo debito spiegherò il motivo, non da sembrare una cosa fatta a caso o per soli scopi di lucro.
Proseguiamo dunque per Kingscote lungo una strada dove l’illuminazione non esiste, com’è per la quasi totalità delle strade australiane al di fuori delle città, facendo molta attenzione e tenendo una velocità piuttosto bassa.
Mi fermo un secondo per una precisazione importante: in Australia chiunque sconsiglia di guidare dopo il tramonto se non è strettamente necessario perché il rischio di imbattersi in animali che attraversano all’improvviso la strada è molto alto; lo dico perché lungo il mio percorso verso Kingscote la vista di cadaveri di canguro ai bordi della carreggiata non è mancata.
Mi rendo conto che l’immagine è un po’ cruda, ma è bene passare questo tipo di informazioni: non siamo in Europa, e quando scrivo downunder lo faccio a ragion veduta (chi lo direbbe mai): è tutto diverso e bisogna prestarci attenzione.
La mia serata a Kingscote è all’insegna di un incontro fortuito con una coppia di mezza età arrivata dalla Florida; lui a dire il vero ha più del texano stile JR col suo cappello da cow boy e la patacca d’oro al mignolo, ma tant’è: il bello di quando sei in giro è la gente che incontri, nonostante i gioielli.
Ci beviamo qualcosa insieme e inevitabilmente la conversazione vira sulla politica.
Sì, inevitabilmente.
Vi ricordo (e le nostre sorelle McLeod qui sono d’aiuto) che stiamo parlando del 4 di novembre, anno 2008: questo forse non lo avevo ancora precisato.
Bene, in Australia era quasi notte, ma qualche fuso orario più indietro, negli Stati Uniti, il primo candidato afroamericano del partito democratico si stava contendendo la presidenza della nazione con il senatore John McCain, che il nostro amico della costa est supportava con una convinzione da fare invidia alla più accanita delle pasionarie (con quel cappello non poteva essere altrimenti).
Credo che il giorno dopo non si sia svegliato troppo contento.
Non che la cosa mi sia dispiaciuta più di tanto, visto il genere di battutacce che il soggetto si è divertito ad infilare neanche troppo a tradimento.
“Lo sai come si fa a far star zitto un italiano?”
No, dimmelo, dai.
“Gli leghi le mani.”
Grasse risate, davvero.
E mani in tasca per il resto della serata, che uno si fa anche influenzare alla fine.
Ma qualche gestaccio il giorno dopo (in rigoroso silenzio), vuoi non farglielo?
Settimana prossima iniziamo il giro di Kangaroo Island, che ne ha da mostrare, illusioni floridensi (si dice? Boh) a parte.