Ci eravamo salutati alla frontiera con una gran voglia di arrivare: vediamo cosa ci riserva la Thailandia, quindi.
Il minivan sfreccia sulla strada ormai asfaltata dello stato del Siam: oltre che aver cambiato paese pare di aver cambiato epoca; le nostre francesi se la fanno sotto per la guida fin troppo disinibita (mettiamola così) di un Caronte in versione orientale e io mi chiedo: ma quelle lì in Cambogia chi le portava in giro?
Mah.
Tempo di metterci comodi (anche qui mettiamola così) nei nostri posti che siamo di nuovo fermi: Trat, stazione dei pullman.
E’ così che impariamo a nostre spese la regola numero uno: mai rilassarsi.
Sosta tecnica? – Chiediamo con una punta di terrore.
Down, down! – La risposta non è di quelle che lasciano ben sperare.
Veniamo consegnati alla banchina insieme ai nostri bagagli e alle nostre proteste: Caronte ci saluta e decide che non siamo più affar suo; insieme alle redivive francesi tentiamo il linciaggio, che i latini sanno sempre farsi riconoscere.
I nordici invece paiono più rassegnati, dentro quel loro contegno tipico del gatto di marmo.

Ad un soffio dal tafferuglio provano a rabbonirci buttando lì che non è sto gran problema andare a Bangkok, basta prendere un altro autobus, che sarà mai; ci indicano quindi la biglietteria, non da lamentarci un domani del servizio clienti.
Il particolare che sfugge è che noi il biglietto per Bangkok già ce l’abbiamo e che a Trat neanche ci dovevamo stare.
Coi mitteleuropei imbambolati a fare da sfondo, riprendiamo a sventolare in faccia al disgraziato di turno il repertorio di improperi riservato alle occasioni migliori.
Intanto i russi si gonfiano di bibite e noccioline, che hanno scovato una tizia che vende le peggio cose e vuoi non comprarle (se non altro la versione cinese dell’esorcista si è messa alla ricerca di nuovi orizzonti qualche chilometro più a sud).
E’ sempre bello poter contare sui compagni d’avventura, ma non mi dilungherò oltre sul cameratismo da furgone, non adesso.
Nel giro di un quarto d’ora un altro minivan punta il muso su quell’avamposto di nessuno che nostro malgrado abbiamo imparato a collocare su di una carta geografica.
Scaraventiamo gli zaini nel baule e raccomandiamo la nostra antitetanica agli dei di una qualche religione straniera, che in certi casi è meglio sparar nel mucchio senza andare troppo per il sottile.
La luce del giorno sta ormai lasciando l’Oriente per andare a passare qualche ora dall’altra parte del mondo e il nostro minivan, con l’aspetto glorioso che può avere solo una fogna di Nuova Delhi, ingoia la strada scandita dalle luci dei lampioni ormai accesi e dai fari altrui che spesso ci troviamo puntati addosso, dritti fin dentro il cruscotto.
Ecco, forse era qui che le francesi dovevano aver paura.
Dopo un’ora abbondante siamo di nuovo fermi: in certe situazioni il terrore non ti abbandona mai per davvero, rimane lì, e quando non te l’aspetti più ti fa scivolare un dito lungo la schiena, ghiacciandoti di sudore fin sotto la spina dorsale.

Siamo di nuovo fermi e non sappiamo il perché, sappiamo solo che sono le 20 e che siamo in viaggio dalle 7, ma Caronte secondo, mosso a compassione, squarcia il velo di Maya annunciando una sosta di 15 minuti causa benzina: tutti giù.
Questa l’abbiamo già sentita.
Inutile dire che a scendere proprio non ci si pensa, che nella nostra collezione ormai manca solo l’abbandono presso benzinaio; Caronte però sembra di altra opinione: tutti giù, di nuovo, e altro che 15 minuti prima di ripartire, ma tanto che fretta c’è.
La strada che ci separa da Bangkok viene riempita da telefonate in Thai a prova di sordo, patatine sgranocchiate dai nostri amici dell’est e da un sonoro russare, regalo di narici tedesche imploranti un qualsiasi cosa che abbia un vago sentore di mentolo.
L’apolide se ne sta zitto alla sinistra del posto di guida, che la seconda fila è per i pezzenti, e la belga sgranocchia Digestive come se non ci fosse un domani.

A colorare l’ultima parte del nostro tragitto altre soste benzina, durante le quali ho modo di dedicarmi ad amene passeggiate lungo le corsie degli “autogrill” thailandesi, tra pasta di durian e bancali di mooncakes dai gusti in technicolor.
Mi compro uno yogurt all’arancia, che tanto ormai siamo alla frutta e avviso Andrea che stiamo per arrivare: manca un’ora, ormai è fatta.

Bangkok è lì davanti a noi, appiccicata al cielo nero come un poster sopra un muro; ci infiliamo nelle sue stelle artificiali e scivoliamo sotto i led accesi dei grattacieli: a pioverci addosso strisce di luci che regalano ai nostri occhi uno spettacolo da lasciare a bocca aperta, che almeno il tedesco è in buona compagnia, anche se lì il problema è di altra natura.
Veniamo abbandonati al nostro destino tra le vie di un quartiere che ancora adesso non conosco per nome e prendiamo un taxi, che coi mezzi per oggi va bene così.
A sorprenderci sul finale una serata di quelle che non capitano proprio tutti i giorni (beh, neanche certe giornate capitano tutti i giorni), e non è per la meravigliosa torta al cioccolato che nel mio piatto è durata sì e no un paio di minuti, o almeno non solo, ma è per quel genere di atmosfera che anche a non volere ti coinvolge; l’occasione sono i festeggiamenti per un compleanno, in stile thai, ovviamente.
Una strada che definire tortuosa è non renderle giustizia ci ha portati dentro un’altra casa dove la soglia si varca a piedi nudi, e chi mi conosce sa bene che cosa intendo, non serve dire altro.
Ah, di thai alla sottoscritta è toccato anche il massaggio, che altrimenti l’opera di demolizione non sarebbe stata completa, ma questa è un’altra storia (e comunque Noom, il giorno dopo mi sono alzata che ero un fiore, confesso).

Si ringraziano:
McGyver, maestro di una gioventù che in casi estremi sa come far valere la propria memoria dimenticata.
La cinese, che neanche una puntata di Superquark offre così tanti spunti scientifici.
Il sorriso numero 16, che ci ha dato la giusta dose di cattiveria per sopravvivere fino alla fine.
Le patatine dei russi, che una compagnia così croccante mai nella vita.
La torta al cioccolato, che la mia serotonina ancora ringrazia per la pacca sulla spalla.
Il massaggio thai, che quando capisci cos’è il dolore quello vero poi non ti lamenti più a caso.
Per onestà intellettuale comunico che alla fine ci abbiamo messo 15 ore, segno che quando sono partita non mi hanno detto castronerie.
Vi consiglio trasferimenti in mini bus o taxi multiplo a Sulawesi, emozione al 100%…provato in maggio di questo anno: molto consigliabile!
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Sulawesi sta in cima alla lista: consiglio preso molto volentieri!! 🙂
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È stato bellissimo leggere questo post stando comodamente seduta in poltrona 😉
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Ahahahah!!! E’ questo commento che è bellissimo!!
Grazie 😉
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555555 ( versione thai del hahahahaha ), che epopea, dai che nel regno del siam e’ la norma, amazing thailand… ;), solo per gente con spirito di avventura e una buona dose di humor farcito di mai pen rai ( non importa, va bene lo stesso ) , un grande chok dee ( buona fortuna ) per il prox thai trip… 😉
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Ahahah!! Grazie Marco!
Mai pen rai sempre, e aggiungerei anche un bel zsu zsu, che non guasta!
Non vedo l’ora del prox, mi ci diverto troppo 😛
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…non ce l’ho fatta e sono venuto a leggerlo… non vedo l’ora di mostrarlo a Noom che l’hai citato… mi chiedono spesso di te e Alessandro e di come siete stati carini a salire alla festa: per chi non ha che poco più di un sorriso da offrire, vedervi sbracati a divorare quel poco che c’era è sembrato come il materializzarsi di qualcosa di mai visto, ovvero un occidentale che sta morendo di fame!
non vedo l’ora che tu faccia un altro viaggio in bus! avvisami per tempo!
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Sapevo non avresti aspettato! E’ come con la mango cheesecake 😉
Quelli carini sono stati loro che ci hanno spalancato le porte di casa ad un orario al limite dell’improponibile, noi che siamo arrivati a mani vuote e con un aspetto che mamma mia!
Mi hanno ripagato delle 15 ore di tribolazioni con quel sorriso, chi poteva chiedere altro 🙂
Quanto ai viaggi in bus…sto pensando di farne una professione! Ti avviso per tempo, ma ad una condizione: vieni con me!
Che ne dici di BKK/Chiang Mai? Troppo facile? 😉
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troppo facile! Qui oramai i bus hanno le poltrone che ti fanno il massaggio!
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Allora non ci piace!
Teniamo buone Sulawesi e Sumatra, a questo punto!
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