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East Coast quarta tappa – da Ballina a Byron Bay

Il tratto di strada che da Coffs Harbour porta a Ballina è da ricordare per un evento dalla portata storica: è stato qui che ho visto il mio primo canguro.
Vivo.

Sì, perché non si creda che in Australia i canguri sbuchino da ogni angolo, non è poi tanto facile ritrovarseli tra i piedi.

Ma continuiamo in direzione nord.

Lasciando perdere il Big Prawn (stavolta si tratta di una pescheria e non ci sono entrata, precisiamolo) che ammalia col suo occhio vitreo all’entrata del paese, Ballina avrebbe anche i numeri per ammiccare alle folle sfreccianti per la mitica N°1, uno su tutti le spiagge di sabbia bianchissima che tengono per mano questo pezzo di oceano.
Il fatto è che il destino l’ha piazzata a poco più di uno sgambetto da Byron Bay (saranno 30km all’incirca) e allora lì che ci vuoi fare, ti arrendi.

Di Ballina ricordo la giornata umidiccia, l’immancabile meat pie e la partita di rugby della Pacific League, faccenda dannatamente seria questa.
Se poi a giocare sono Australia e Fiji, uno si gode scene che neanche a Milano quando c’è il derby.

Ma concentriamoci su quella che secondo me è la Meta (qui la maiuscola ci vuole, vedere per credere) per eccellenza: Byron Bay.

In genere si dice “vedi Napoli e poi muori”, per Byron Bay è lo stesso.

Capitale New Age della East Coast, Byron Bay è da sempre ricettacolo di personaggi strani e di surfisti, che poi cosa cambia; questo è il punto in cui dovrei scrivere che la sua atmosfera incanta e proietta verso altri mondi, ma generalmente quando sono io a leggere cose del genere alzo un po’ il sopracciglio, quindi evito (e in ogni caso è vero).

Sei per strada e vedi gente camminare scalza sui marciapiedi fin dentro le vie; hippie nostalgici portano in giro cespi di capelli arruffati con i loro vestiti lavati nella sabbia, calcandosi sul naso occhialini come solo John Lennon potrebbe fare ancora senza sollevare una ragnatela di nostalgia.
Ma qui vale tutto.

A Byron Bay ogni cosa è organic, healthy, green, dal gelato dei bar sulla spiaggia alla sistemazione per la notte: io sono stata al Bamboo Cottage.
Che ci vuoi fare, finisco sempre in posti del genere e li adoro.

A Byron Bay fanno lezione di yoga sulla spiaggia presto la mattina: se sei per strada quando sta sorgendo il sole, vedi sciami di affezionati prendere la via del mare col loro tappetino sotto al braccio.

E’ proprio qui che si trova il faro cui sono a mio modo legata, sul promontorio di Cape Byron, il punto più a est del continente australiano sulla terraferma (curioso che qualche mese dopo sono stata a Cabo da Roca: il punto più a ovest del continente europeo sulla terraferma: altro estremo, altro faro); dalla cima c’è una vista meravigliosa e lo dice una che ha trovato le nuvole!

E anche un po’ di pioggia, ma d’altra parte è il Queensland, signori, the Sunshine State.

Da non perdersi durante questa tappa nei Seventies un chai latte in qualche locale sulla spiaggia di Wategos (il principio è lo stesso del chai tea indiano, la miscela di spezie poi varia a seconda della fantasia di chi lo prepara, bisogna essere onesti) e il The Balcony, praticamente un’istituzione.

The Balcony ti accoglie con una scala che sa di polvere, con quella moquette scura e la carta da parati stinta che si infilano su per un corridoio buio; è un locale in stile orientale che con la sua allure decadente potrebbe propinare le peggio cose senza timore di sentir  lamentele perché alla fine qui ad essere in vendita è la magia, in un certo senso.
E se c’è la magia, fuck the rest.

Sorry, ma qui ci stava bene.

East Coast parte 1 – Port Stephens

Di tutti i posti che ho visto, solo due volte ho detto “qui ci vivrei”: a Sydney e a San Francisco, ma questa è un’altra storia.
Ecco perché quando ti lasci una città del genere alle spalle (di Sydney parlerò più avanti, promesso) lo fai sempre con un po’ di titubanza.

Poi però realizzi che quella che ti aspetta oltre il parabrezza è la leggendaria East Coast, e allora…you rock!

Prima tappa di questo pezzo on the road sulla Pacific Hwy (la mitica strada n°1) direzione nord è Port Stephens.
Ora c’è da sapere che Port Stephens non è il nome di un paese solo, ma di un’intera zona, il che crea non poca confusione quando ci si deve confrontare con cartine e segnali stradali.

Ma non lasciamoci intimorire da queste stranezze territoriali.

Pernotto previsto ad Anna Bay, al Samurai Beach Bungalows, che si presenta così:
“A touch of Asia in Australia”.
Evidentemente il mio destino era già segnato!
Il posto è tranquillissimo, immerso nel verde e nel silenzio, e se guardi in alto vedi i koala che se la dormono sugli eucalipti: scendono una, massimo due volte al giorno, solo per mangiare.
Poi dicono i bradipi.
La scelta è di quelle azzeccate, consigliatissimo! Ma del Samurai Beach Bungalow lascio parlare il sito, che sicuramente ne ha da dire.
(http://samuraiportstephens.com.au/ rel=”nofollow”)

Quello che colpisce di Anna Bay sono le Sand Dunes, o Stockton Bight: la più lunga barriera di dune dell’emisfero australe, circa 30 metri d’altezza, che si srotola per 35km lungo la costa tra qui e Newcastle.
La gente ci fa surf (sì, sulla sabbia, casomai l’oceano lì davanti fosse troppo piccolo), ci scia, o si diverte coi quad; insomma, ogni scusa è buona per fare un po’ di casino: siamo in Australia dopotutto.

Spostandosi un po’ più a nord si arriva a Nelson Bay, capitale non ufficiale di Port Stephens, che come cittadina non avrebbe nulla da segnalare, ad essere onesti.

Dico non avrebbe perché in realtà una cosa c’è: Red Neds (http://www.redneds.com.au/ rel=”nofollow”).

Ora, passare di qui e non fermarsi da Red Neds è un errore col quale difficilmente si potrà poi convivere, io avviso.
Di che si tratta?
Semplicemente del miglior locale dell’Australia dell’est per gustare la meat pie.
C’è chi dice che in realtà sia il migliore dell’Australia intera, se non altro perché la meat pie nasce proprio su questa costa: non credo di avere l’autorità per pronunciarmi in merito, posso solo fidarmi.

La meat pie è una delle tante chicche di questa zona, appunto; si trova anche altrove, ma spesso quelle sono becere imitazioni senza troppa personalità.
E’ una specie di torta salata con i ripieni più diversi, dall’aragosta al curry di verdure; quando la guardi ti frega perché non pensi che una cosa di quelle dimensioni all’apparenza inoffensive possa in realtà essere così devastante: una pesantezza infinita.
Ma è troppo buona.
E vale tutta la citrosodina del mondo.

Personalmente ho fatto il pieno lungo quel tratto del mio viaggio, e credo che la meat pie abbia dato il suo bel contributo all’accumulo dei chili di troppo che mi sono riportata poi in Europa.

Gli altri colpevoli avrete modo di scoprirli al prossimo giro, non mancherò di nominarli: quando ci sono io di mezzo, si finisce sempre in cucina e dintorni.