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La mia Australia

Questo viaggio ha riposato sulla carta per un po’, adesso è ora di metterlo in giro.
L’Australia è stato il primo continente a rubarmi un pezzo di cuore, l’Asia si è presa tutto il resto.

Spesso non ci si rende conto di quanto sia enorme quest’isola; tutti sanno che quello australiano non può essere il viaggio di una settimana, ma quanti si rendono veramente conto degli spazi?
Provate a guardare un po’ questa cartina: sicuramente la mascella cederà sotto il peso dello stupore.

Impressionante, vero?
Io in Australia ci sono stata un mese intero (era Novembre, quindi estate) e giuro che ho visto solo metà dei must see di quel continente, motivo per cui ci voglio tornare ad ogni costo!
E quando mi fisso su una cosa non si scappa.
Cari australiani preparatevi: tornerò a dare fastidio.

Sarò ripetitiva, ma una delle prime cose che colpisce dell’Australia (o almeno, per me è stato così) sono le persone: eccezionali, una vera scoperta.
Banale?
Forse, ma in genere le cose semplici sono quelle che mettono più in crisi.

Ho sviluppato una mia personalissima teoria del perché gli australiani sono come sono: liberissimi di confutare, ma già dico che nessuno mi toglierà mai questa convinzione.

Poca gente in tanto spazio.

Tutto qui.

Se ci pensiamo bene e facciamo un confronto con noi italiani, o noi europei, la differenza balza all’occhio in modo quasi fisico: noi siamo milioni di persone schiacciate in questo continente (o in questo stivale, ognuno la metta come crede) a litigarci un pezzetto di spazio da difendere coi denti.
E’ uno stress pazzesco!
Come non rimanere segnati?

L’80% degli australiani vive tra Sydney e Melbourne e non è che ci stanno poi tanto stretti in quelle due città, anzi; il resto è quasi nulla, il vuoto.
Ecco perché l’australiano è rilassato e guarda alla vita con un occhio che qui quando lo vedi su una personcina che sfiora i sei anni, tanto per fare un numero, ti stupisci.

In Australia se ti fermi per strada con una cartina in mano ti ritrovi addosso quattro o cinque persone che ti chiedono se ti serve aiuto.
In Australia non fai la coda nemmeno alla cassa del supermercato, e ne ho presi di muffins da Coles: ho una certa esperienza.
in Australia se sei seduto al bancone di un pub a bere una birra, ti danno una pacca sulla spalla e te ne offrono un’altra, così, senza un perché e senza neanche fermarsi, magari.

Ma adesso basta, di ricami ne ho già fatti fin troppi.
Nei prossimi giorni inizierò a postare la mia Australia, fatta di ostelli, macchine a noleggio e tour nelle cantine (eh, a me il vino piace, non si fosse capito).
Fatta anche di Babbo Natale che ti sorride mentre le tue infradito di gomma ti portano in giro e giuro che è destabilizzante.
Insomma, downunder: il mondo alla rovescia.

Da dove iniziamo questo viaggio? Dalla parte che più mi ha affascinata: il tratto di costa che collega Sydney a Brisbane, tra New South Wales e Queensland.
Preparate la strada, stiamo per guidarla!

Gili: forse qui si può dire di avere delle isole negli occhi.

Il viaggio verso le isole Gili inizia nel traffico incanalato in direzione Padang Bai; carovane di camion trasportano roccia e sabbia vulcanica verso la parte occidentale dell’isola: sono i materiali dell’edilizia balinese, di qui il colore plumbeo della maggior parte di edifici e templi.

Credevo che la traversata dell’andata fosse per stomaci forti, o alla peggio vuoti, fino a quando non ho avuto a che fare col viaggio di ritorno: 80 interminabili minuti per mare, durante ai quali ho sentito colare tra le tempie una sensazione molto vicina al panico, e durante i quali ho più volte visto l’orizzonte di traverso (voglio precisare che non è una metafora: la bagnarola si divertiva a travestirsi da offshore. In queste situazioni, o si ritrova la fede, o la si affossa definitivamente sotto una montagna di improperi).

Ma lasciamoci alle spalle la parentesi di terrore, perchè le Gili sono state ben altro, e i 10 anni di vita che ho lasciato sulla strada per raggiungerle sono stati ben spesi.

Quando dici Gili, ti guardano, ridacchiano, e ti chiedono “Magic mushrooms?”
Anche no, prenderei strade diverse, se per voi va bene!

Sto parlando di tre isolette al largo di Lombok, probabilmente dimenticate anche dal dio dei viaggiatori (credits ai Modena per la citazione colta); per dormire mi sono scelta la più “grande” Trawangan, altrimenti detta party island, dove la vita ha la cadenza del reggae che tanto adoro (Bob, Peter, Jimmy, c’erano tutti!), e certamente più adatta a chi viaggia in solitaria e non vuole tagliarsi completamente fuori dall’universo: lasciamo le sorelle minori a coppie e famiglie.

Mai come in questa situazione ho avuto la conferma che è la persona che lo vive a fare di un posto quello che realmente è, non l’etichetta che gli viene in genere affibbiata; non nego che tra tropical moon, mojito e horizontal lounge mi sono data il mio bel da fare, ma i momenti in cui Gili T mi ha rivelato tutto il suo fascino erano le mattine, quando, strani personaggi a parte, i più dormivano, e l’unica compagnia erano lo schiocco della risacca e il tintinnio dei campanelli dei cidomo (sono selvatica, alla fine, che ci posso fare).

I cidomo sono dei carretti di legno trainati da un cavallo, che ti sfilano per strada ad ogni ora, unici mezzi di trasporto su queste isole, insieme alle biciclette: niente motori (se ci andate durante il Ramadan, ci pensa il muezzin a fare casino di notte).

Un posto come questo va vissuto almeno una volta nella vita: qui davvero ti fai un’idea di come il mondo possa nascondere delle perle rare nei suoi giochi di prestigio, qui vedi che nonostante tutto quello che hai già visto, ti mancherà sempre qualcosa da scoprire, che magari non sapevi nemmeno esistesse.

Che isole.
Anche loro, terre d’incontri.

Paolo, qui in vacanza come me, ha lasciato Genova a cavallo dei suoi 25 anni, e fa il pizzaiolo a Sydney per raccogliere i soldi per il visto studentesco: in Australia costa una follia, ma lui lì ci vuole stare per sempre, e l’unico modo è passare il famigerato esame di lingua. Intanto divide l’appartamento in periferia con altri sette sciammanati come lui, e dice che è un gran casino.
E che ci sta da dio.

Angelo, che alle Gili si è trasferito definitivamente anni fa, per aprire quel villaggio dove ho dormito tre notti.
Anche lui di Genova (pare quasi una colonia), ha piazzato sulla sua spiaggia la bandiera della Samp, e mi ha rinfacciato lo scippo di Pazzini; è un vulcano, non ci sono altre parole per definirlo.

Con Angelo ci rivedremo a Legian, nella Bali dell’ovest, quella più turistica e più busy, come dicono qui: mi sono aggregata a lui e a suo figlio per un paio di giorni tra shopping, mare e qualche cosa da vedere; per convincermi (non che ci abbia messo molto) mi ha promesso la miglior cena balinese della mia vacanza: potevo resistere?

Vedremo se millanta, o se sarà in grado di competere con quelle delle prime settimane: la lotta è dura, ma per la sfida c’è sempre posto (nello stomaco anche, purtroppo).