Tutto è iniziato con una cena in riva al fiume, in uno di quei ristoranti che se non sei di casa non ci capiti.
Bangkok mi ha accolta col muso beato di un maiale grasso che dormiva oltre il molo, là dove i tavoli iniziavano a mettersi in fila.

Ci sono posti che non hanno bisogno di nomi, come il ristorante di quel primo incontro: Ranahan, ristorante, appunto.
Il maiale invece si chiama SiPai, casomai interessasse.
Ranahan che è giusto qualche tavolino in plastica lungo il Chao Phraya, dove nelle sere umide di agosto ci si siede mandando uno scongiuro al dio delle nuvole perchè alla tettoia non ci hanno pensato.
Bangkok ho iniziato a godermela lì, sulla riva di un fiume che scorre lento, dove l’acqua sembra pesare quanto un maiale grasso addormentato.
Lungo gli argini di quella prima notte ho scoperto uno dei piatti che in seguito avrei contato tra i miei preferiti: il muu dad diao, scrivo come si pronuncia.
Maiale (non SiPai, che pareva star bene) fatto a strisce, disidratato, e poi fritto, più o meno piccante, che indossa la stessa faccia scapigliata di una città con 12 milioni di abitanti, ma solo sulla carta.
E’ su quella riva che ho dato il via al mio personalissimo tour delle birre del Sudest asiatico stappando una Shinga da bere col ghiaccio, alla thailandese, anche se la mia preferita mi stava aspettando paziente oltre la frontiera, in Cambogia, con quel suo nome ingombrante di Angkor e io ancora non lo sapevo.
Qualche tempo dopo, quando con la Thailandia abbiamo superato quella sorta di timidezza che si riserva ai primi incontri, mi sono ritrovata faccia a faccia con il kaprao pork, maiale macinato (anche qui SiPai teniamolo fuori) ripassato con aglio, basilico e peperoncino, affidato ad un letto di riso e uovo con scritto addosso tutto il marasma del JJ market che mi ruotava lì attorno.
Sotto quel tendone dove l’aria era gonfia di peperoncino e spezie, la gola pizzicava solo a rubare una boccata d’aria agli altri avventori.

I piatti cambogiani invece sono affabili come la loro terra, semplici e allo stesso tempo complicati.
Semplici gli ingredienti, che crescono ai bordi della strada o sopra la roccia di un tempio, complicati i sapori, che nella loro alchimia stupiscono di sorprese.
L’amok è esattamente questo, è il racconto di tutto un paese.

La versione più conosciuta è quella di pesce, ma c’è anche di pollo, o vegetariano.
Io il pesce non lo mangio, ad eccezione di un pescegatto propinatomi a tradimento a Bangkok per il quale sono ormai famosa tra gli amici, quindi ho scelto il pollo.
La carne viene annegata in un misto di spezie e verdure dove il lemongrass e l’aglio la fanno da padroni: è una delle cose più squisite che abbia mai assaggiato.
In Indonesia, terra dalle 18.000 isole, il piatto nazionale non poteva che essere una rimpatriata di mondi diversi, tutti insieme nello stesso mare.
E’ il nasi goreng, letteralmente “riso fritto”: riso, verdure, uovo, e satay di pollo, quegli spiedini cotti alla brace e in genere finiti con l’immancabile salsa di arachidi.

Alle volte c’è più letteratura dentro ad un piatto o nel fondo di bicchiere piuttosto che nei grandi manuali.
In Thailandia il bicchiere riempitelo di soda e SangSom, il rhum locale, che detta così pare una bestialità, e invece merita: siamo nella terra del Siam, mai fidarsi delle apparenze.
In Cambogia metteteci un caffè cambogiano, simile a quello vietnamita nel suo sentore di cacao: è forte ma allo stesso tempo dolce, e son combinazioni che stendono.

A Bali niente bicchiere, bevete direttamente dalla bottiglia, prendetene una fredda di Bintang, la birra nazionale, che va bene per tutti quelli che non hanno nulla da pretendere, gli stessi che su quell’isola poi ci lasciano un pezzo per sempre.
Quando torno a Bangkok voglio fare di nuovo un salto sulla riva del Chao Praya, al Ranahan, a quel tavolo dov’è partita una bella amicizia con una città ma non solo, perché in fondo un paese è anche quello che c’è nel piatto e le persone sono un po’ quello che mangiano.
E se ve lo dice una che a Bali si chiama come il peperoncino, cabi (leggete “ciabi” però!), potete soltanto crederci.
Ah, ovviamente ci torno anche per vedere se SiPai se la sta passando bene!
![Andrea, tienimi d'occhio SiPai intanto! Photo credits: Alessandra [cipiaceviaggiare.it]](https://triportreatblog.files.wordpress.com/2013/11/foto-di-alessandra-ci-piace-viaggiare.jpg?w=474)
Photo credits: Alessandra [cipiaceviaggiare.it]
…vorrà dire che Si Pai, me lo presenterai anche tu……vero? ???! Andrea padrino e tu madrina. Ecco. Incrociando le dita……
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Guarda che se anche ti metti anonima ti ho beccata… 😉
Ben volentieri!!
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Leggerlo adesso mi uccide… HO FAME!!! 😀
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Ahahahah!! E’ un post da leggere con la pancia piena 😉
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Carino SiPai, spero di trovarlo 🙂 Mi hai fatto venire voglia di provare tutto il cibo possibile ed anche la birra! Meravigliosa ironia 😉
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Ti ringrazio 🙂
SiPai è ancora lì e sta bene, ti aspetta!
Come tutte le meraviglie della tavola del Sudest asiatico: da non perdere!
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Oh, finalmente una donna che parla di mangiare senza farti sentire in colpa.
Bell’articolo. Ammiriamo soprattutto quel tono ironico che ci fa tanto respirare!
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Con me se si tratta di cibo si va sul sicuro! (Purtroppo? :P)
Grazie per il commento!
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Bell’articolo, come sempre…, alcune precisazioni per la birra thai ( singha),
Se ti piace la angkor, la prox volta prova la Leo…, e il Pad Krapao Moo con il kai dao ( l’uovo). Non esagerare con il Samsong, che a volte escono partite con metanolo… 😉
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Grazie! Anche per le precisazioni 🙂
Vedrò di andarci piano col metanolo!!
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Si Pai te la tengo d’occhio…ho scoperto che i maiali amano farsi massaggiare sul collo… e comunque questa storia del maiale mi perseguita…
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Perseguita addirittura? Comunque confermo che insieme siete troppo bellini! Curamela intanto 🙂
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Dalla nascita…mi perseguita dalla nascita http://www.latitudeslife.com/2013/09/templi-zodiacali-tra-religione-astrologia-e-superstizione/
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E poi dicono che lo zodiaco son solo fesserie. Parliamone!
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