disegno moschea cabiria magni

Quando un viaggio è sulla carta: ecco perché scrivo con la penna

disegno moschea cabiria magni
Jama Masjid mosque, Delhi

Ogni viaggio ha la sua Moleskine, quella che si sbatte in giro tra zaini e tasche, che si maltratta finchè non si torna a casa.
Presente come si faceva con la famigerata Smemoranda quando (parlo dei miei anni Novanta) si andava alle superiori?
Ecco, uguale.

La Smemoranda era la carta d’identità di un anno scolastico, la Moleskine quella di un viaggio intero.
E quando quel viaggio voglio riviverlo sul serio, allora la riapro.

Diciamolo subito: qui non si parla di rileggere gli appunti lasciati sui fogli, di quelli chi se ne frega (beh, oddio).
Qui si parla di guardare le pagine, i tratti.
Di andare oltre quello che c’è scritto e concentrarsi su come è scritto.

Ecco perché mi piace fermare le sensazioni sulla carta: a guardare come sono fatti i tratti si capiscono molte più cose che a leggere le parole.

Ho da poco riaperto il mio quaderno indiano e mi sono lasciata distrarre dalle pagine, le ho ascoltate davvero, forse per la prima volta da quando sono tornata.

Finora le pagine erano rimaste lì per conto loro, ed è stato bello ritrovarle quando meno me lo sarei aspettata: dentro ad un treno per Ginevra.

Le prime sono le più fitte, le ho scritte tra uno scalo e l’altro, con la foga di annotare tutto per paura di perdermi anche una sola sfumatura.
Fermi il sorriso da teppista, quello del un bambino che ruba il trolley al vicino d’aeroporto e schizza via (se ci penso, rido ancora: idolo!).
Fermi il colore di un sari che fa strano vedere quando stai in Germania, non ti pare ancora ora.

Poi c’è lo stampatello, perché quando prendi appunti mentre ascolti un indiano hai bisogno di fargli rileggere i nomi: di sicuro hai sbagliato a scrivere qualcosa ed è meglio controllare.
E infatti subito dopo c’è una calligrafia straniera, con quelle preziose correzioni da tenere strette e un itinerario da portare appresso per l’incontro in solitaria con la metropoli là fuori, che Delhi proprio piccola non è, e il casino è bestiale.

“Now you cannot wrong!”
“I’m sure, you’re the best teacher ever!”

Poi le linee diventano storte: sono gli appunti presi di notte, quando la luce è un miracolo che va e che viene. Più che appunti sono una mezza avventura, in certi casi è già tanto mirare la pagina.
Ti fermi a guardare quegli scarabocchi e ti rivedi a pancia in giù su un materasso, a far cassetto delle sensazioni della tua prima giornata in una terra nuova.

Quelle pagine mi mettono ancora i brividi.

Non per quello che sta scritto sopra, alla fine sono appunti presi in modo un po’ meccanico.
Quelle pagine parlano di un’esperienza nuova, completamente diversa dalle altre: ti dicono chiaro quanto sei rimasto spiazzato all’inizio (e pure alla fine, va).

Poi la scrittura si fa più spigolosa perché quando scegli di vivere qualche giorno in famiglia, e le abitudini sono quelle di un mondo lontano, un po’ di fatica la fai, eccome se la fai, ma che soddisfazione se ci riesci.
Un po’ come imparare a scrivere al buio, mirando il foglio.

Ad un certo punto il tratto si distende e le pagine diventano più ordinate: è quella volta che hai scritto seduta fuori dal tempio.
Non importa quale fosse il dio che abitava là dentro perchè la sua pace arrivava pure fuori, e ti ha beccata proprio mentre stavi lì, in mezzo ad un prato a regalare qualche sorriso per una foto all’indiano di turno.

Compare un disegno che non ricordavi, fatto con la matita: certe esperienze non possono essere fermate con una fotografia, lo scatto è troppo veloce e alle volte serve tempo, c’è bisogno di pensarci bene.
La penna lascia pensare mentre si sceglie il tratto successivo, mentre si aspetta che quel sussulto che è risalito lungo la schiena al canto del muezzin si metta comodo tra i ricordi migliori.
E così fissi una moschea, non solo sulla carta.

Quando arrivi verso la fine delle pagine ti accorgi che c’è qualcosa di diverso nella scrittura, che se la confronti con quella dell’inizio ti viene il dubbio se la mano è poi la stessa.

E’ il regalo del viaggio.
L’hai scovato nel suo modo sussurrato di farsi vedere, dentro ad un treno per Ginevra.

Non urla perchè gli dà fastidio alzare la voce, e tante volte preferisce rinunciare a farsi trovare, piuttosto che mettersi a fare casino. Tanto se non lo vedi mica si offende: tornerà un’altra volta, forse.
E’ uno che ha pazienza, si mette comodo e aspetta.

Magari nel frattempo si compra un vestito nuovo, o decide di camuffarsi da qualcosa di strano, vallo a sapere, ha fantasia.

Se siete curiosi di scoprirlo, partite.
E cercate.

Guardate però dentro le righe, che sta cosa di nascondersi secondo me non gli passerà mai, ma è bello proprio per questo.

26 pensieri riguardo “Quando un viaggio è sulla carta: ecco perché scrivo con la penna”

  1. Che bello questo post!!! Sono emozionanti quelli scritti con il cuore, e ti fanno viaggiare più di ogni altra cosa…
    Anche io appunto tutto, e rileggere dopo un pò è bellissimo

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    1. Grazie!
      Io ce l’ho un po’ come deformazione, ho sempre avuto il “pallino grafico”, chiamiamolo così, forse ci ho fatto caso anche per questo.
      Ma in effetti sì, è un po’ come parlare di linguaggio digitale e linguaggio analogico: il primo, quello dei numeri, quello che basta un codice per decifrarlo, e il secondo, quello del corpo, tutto da interpretare, che però a mio modo di vedere dice molto di più, se non altro delle cose che contano.
      Ok, basta, ho sproloquiato anche troppo!
      Quella roba lì, insomma.
      🙂

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  2. Come al solito brava, sono monotona, ma è la verità: Ho provato a rileggere qualche mio quadernetto di viaggio ed è vero i tratti cambiano dall’inizio alla fine. Ma io ho il maledetto difetto di non prendere nota durante, ma dopo, perché nel momento in cui le cose accadono non sono capace di scrivere ma solo di cercare di riempirmi con tutti i sensi di quegli attimi di vita. Per cui quando arrivo alla scrittura le emozioni sono sedimentate e non riesco più ad esprimerle con le parole. Però mi basta rileggere qualche frase perché la sensazione riemerga anche a distanza di tanti anni. Invidio (bonariamente) questa tua qualità di raccontare e sopratutto di raccontarti, creando emozioni.

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    1. Ti ringrazio Susanna!
      Le sensazioni riemergono sempre all’improvviso, quasi a tradimento, e sono bellissime così, condivido.
      Anche tu ti sai raccontare, e anche tu sai far vivere emozioni, ho avuto un piccolo assaggio!
      E tra poco avrò anche la conferma “live” e ti dirò: “te l’avevo detto!”
      Garantito 🙂

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  3. La moleskine scritta con la matita , con correzioni ,cancellature e scarabocchi vari : sei tu che ti sei scritta e ti rileggi facendoti ritornare in mente le stesse sensazioni che provavi in quell’attimo.
    Non credo che esista un altro modo così potente per rivivere un momento particolare. Come al solito, quando scrivi così direttamente, fai entrare anche chi ti legge nel tuo viaggio…ed è veramente piacevole. Il resto sono emozioni che appartengono al tuo libro personale : quello che solo tu sai leggere…comunque mi pare si sentire , tra le righe , pacatezza e serenità pur nella tua dinamicità e questo di solito significa che “il viaggio” sta continuando… buon cammino!!

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    1. Fiorenzo, ma com’è bello leggerti!
      Sì, la penna e la carta fermano le sensazioni forti per poi rimandarle, e sono felicissima se qualcosa passa anche via web.
      Mi hai fotografata benissimo: cerco di stare in equilibrio tra il dinamismo esteriore e la calma interiore, è la mia sfida quotidiana. Alle volte ci riesco poco, alle volte ci riesco un po’ di più, ma fa tutto parte del viaggio. E sono felicissima di continuarlo così 🙂
      Buona strada anche a te, chissà che non ci si incontri davvero da qualche parte!

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  4. Spesso si è veloci, bisogna essere “agili” (cit.) per affrontare al meglio le situazioni e non si ha il tempo di fermarsi. Non un minuto per scrivere a penna, poi devi ricopiare, tanto vale appuntare tutto in maniera fredda sul cellulare. Non un minuto per disegnare, quella è una cosa che fanno i ragazzini. Non un minuto per sedersi per strada, ci sono troppe cose da vedere e i secondi passano in fretta. MAI un minuto per guardarsi indietro e riscoprirsi diversi.

    Viaggiare non è sempre guardare avanti, ma spesso è anche sapersi voltare per verificare i progressi. E se anche sono negativi, che importa, l’importante è sentirsi vivi, in evoluzione e regalarsi i momenti che solo una mano non troppo stabile che scrive su un’agenda può regalare.

    Un post introspettivo, a dimostrazione che le vere scoperte non sono sempre a migliaia di km di distanza. Brava!

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    1. Grazie!
      Mi ritrovo in tutto quello che scrivi, ma lo sai: in India ne abbiamo parlato a sfinimento.
      La mia soddisfazione più grande rimane quella di averti contagiato: quando ti sei comprato quel quaderno a Jaipur ti ho prestato volentieri la penna per imbrattarlo (mannaggia a te, non partire più senza! La prossima volta ti compri pure quella.)

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  5. “Compare un disegno che non ricordavi, fatto con la matita: certe esperienze non possono essere fermate con una fotografia, lo scatto è troppo veloce e alle volte serve tempo, c’è bisogno di pensarci bene.
    La penna lascia pensare mentre si sceglie il tratto successivo, mentre si aspetta che quel sussulto che è risalito lungo la schiena al canto del muezzin si metta comodo tra i ricordi migliori.” Bellissimo il post ma questo passaggio è proprio poesia!

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      1. Ecco, la cioccolata. Mannaggia.
        Certo che ci vediamo e la primavera è perfetta!
        Anche se non so quanto aspetterò ancora per questo fantomatico giro del mondo…;)

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