Questa è una storia che mi è rimasta nel cuore più che altro per il luogo in cui l’ho sentita la prima volta.
Garuda già lo conoscevo, e probabilmente gran parte del merito va alla compagnia di bandiera indonesiana, i Naga invece mi hanno colta impreparata, confesso.
Ma stavo dicendo di un luogo.
Uno dei più atroci del mondo che ho incontrato finora, Choeung Ek, quei killing fields dove vennero massacrati migliaia di cambogiani durante il regime di Pol Pot.
Le sensazioni che ho avvertito mentre camminavo là dentro le ho già raccontate, proprio mentre mi stavano rimbalzando addosso , e ho cercato di fare lo stesso con quel silenzio che stride, che ora avvolge quello che sembra un giardino.
Un silenzio che viaggia sul confine sottile che separa la morte dalla pace.
Il punto sta sempre qui: nel contrasto, nella cosa scomoda, quella che dà un po’ fastidio perché non si capisce bene.
A Choeung Ek c’è uno stupa commemorativo, quasi uno scrigno per quei 9000 teschi sopra i quali si è fermato l’orrore di un momento infinito.
E’ uno stupa decorato, con Naga e Garuda, e questi personaggi di certo non se ne stanno lì per caso a occupare un po’ di spazio.
A interrogare troppo le tradizioni finisce sempre che ci si perde, quindi come al solito la faccio facile, perché quello che mi piace e che mi interessa davvero è il messaggio che sta dietro questa piccola scoperta, un messaggio che se ne frega di qualsiasi tipo di variante o confessione. Un messaggio che vale sempre.
Garuda è un semidio, un incrocio tra un uomo e un’aquila, ed è la cavalcatura di Visnu, il preservatore.
Garuda è “colui che porta un gran peso”: non credo che sia perché Visnu se ne infischiasse della dieta, ma piuttosto per il fatto che questa creatura è il simbolo dell’abbandono del piano materiale, della ricerca di qualcosa di più alto. Che effettivamente costa fatica.
Garuda vuol dire anche “colui che aspetta il veleno”, e qui entrano in gioco i Naga.
I Naga sono dei serpenti, spiriti della natura che puniscono l’uomo quando questo la danneggia; strisciano a terra, non si alzano mai. Hanno la lingua biforcuta, regalo di un affronto agli dei, di quando persero la coppa dell’immortalità: i Naga riuscirono a rubarla, ma quando furono scoperti, gli dei se la ripresero.
Parte del liquido divino si rovesciò però sul terreno e i serpenti lo leccarono: si tagliarono così la lingua con i fili d’erba, ma ebbero in cambio la vita eterna.
Naga e Garuda si scornano ormai dalla notte dei tempi per motivi di famiglia, pare infatti che il litigio sia un’eredità delle rispettive madri: eh, le donne (stavolta ci sta, a giudicare dal casino che poi è venuto fuori).
E pare anche che Garuda sia ghiotto di Naga, ma qui son gusti, quindi non si discute.
Nonostante questi trascorsi bellicosi di un certo pregio, c’è stato chi, solo e unico, è riuscito nell’impresa di riappacificarli, almeno per qualche momento: si chiamava Buddha, ed era un tizio che di queste cose ci capiva.
Questo per dire che le due figure rappresentano gli esatti opposti di un tutto in perfetto equilibrio, sempre in lotta tra terra e cielo, tra aspirazione e caduta. Tra io e dio.
Un tutto che lo si prenda un po’ come si vuole, ma che è mosso sempre dallo stesso motore: l’amore.
In qualsiasi forma lo si voglia pensare.
Ecco perché quando Garuda e Naga sono ritratti insieme rappresentano la pace perfetta: è un cerchio che si chiude e poi riparte.
Ed ecco perché quello stupa, costruito su 17 livelli come il 17 di Aprile, giorno in cui i Khmer Rouge marciarono su Phnom Penh nel 1975, ospita quei due: se ne stanno lì insieme proprio perché sono il segno della pace dopo il tormento.
Non so se i cambogiani hanno fatto pace col loro passato, queste sono cose che non si capiscono con un viaggio.
So però che in quel giardino la pace si respira, anche se mi chiedo quanto sia giusto farlo così, senza averne pagato il prezzo: davanti a certe situazioni ci si sente sempre inadeguati.
Naga e Garuda stanno lì insieme per ricordare che tutto è possibile, anche quando ci sono di mezzo due madri agguerrite (massima solidarietà: son problemi veri).
E forse la chiave sta proprio qui, nella speranza.
La speranza che spinge a provare sempre e comunque, anche quando la tentazione sarebbe quella di lasciar stare.
Anche quando la certezza del risultato è un epilogo naturale solo per le imprese altrui.
Sono stato in Cambogia nell’agosto scorso e ho visitato i Killing fields, Choeung Ek, E anch’io che sapevo cosa erano i Naga ho imparato a conoscere la storia dei Naga e dei Garuda. Lo spiegava bene l’audioguida mentre camminavo in silenzio riverente e guardavo lo Stupa con i Naga e i Garuda molto impressionato da quello che l’uomo può arrivare a fare. Interessante che abbiano voluto mettere Naga e Garuda proprio in questo posto per portarvi finalmente la pace.
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Assolutamente d’accordo, è una scelta significativa. Mai come in questo posto l’audioguida, poi, è fondamentale!
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Ciao Cabiria!
Tra poco sarò in Cambodia, e devo dire che ho letto più volte il tuo blog in cerca di qualsiasi cosa. E ri-devo dire che questo post lo adoro.
Dici tutto in modo coinvolgente e ironico, e non solo.. penso sia utilissimo sapere le cose e la storia prima di intraprendere un viaggio del genere.
Sooo… thanks!
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Grazie a te!!
Mi vedi d’accordissimo su quello che scrivi: meglio partire con due informazioni in più sulla storia e due in meno sull’itinerario, così si capiscono meglio tante cose, e ci si lascia sorprendere lungo la strada 🙂
Aspetto di vedere le tue foto!!
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Bellissimo, commovente…bhe, io sono un tenerone e mi commuovo facilmente, comunque c’è cuore dentro, si sente.
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Grazie Luca!
Ecco, questo è uno di quei posti dove dovresti andare…e sarei curiosissima di sapere poi le tue impressioni.
Pensaci 🙂
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