Quando le siete calles profumano di Kalimotxo: Bilbao

Ogni tanto qualche divagazione sul mio blog me la concedo (siamo flessibili qui), soprattutto se ci sono dei buoni motivi.

Questa volta il motivo è ottimo: alle prese  col mio hard disk che esplode di fotografie, mi sono capitati sotto gli occhi gli scatti di Bilbao di poco più di un anno fa: troppo bella quella città.

Bilbao Casco Viejo

Mi chiedo perché la gente se la fila così poco.

Quando dici Spagna dici Madrid, Barcellona o Siviglia, giusto per fare qualche nome; se vogliamo esagerare mettiamoci pure Valencia, ma Bilbao proprio no, non c’è pericolo di sentirla.

Era da un po’ di tempo che avevo questa fissa e alla fine sono riuscita a trascinarci uno dei miei migliori amici (grazie Angel per la compagnia: lungo week end da incorniciare).
La sapete una cosa? Anche lui mi ha dato ragione e non per sfinimento, chi lo conosce chieda pure.

Grande quel tanto che basta per non assomigliare ad una metropoli, Bilbao ti fa sentire subito a casa e ti accoglie con la sua faccia frizzante da giovane universitaria.

Lascio alle guide l’elenco dell’imperdibile, anche se il Guggenheim voglio citarlo (http://www.guggenheim-bilbao.es/), che è una meraviglia, ma chi non lo conosce.

Guggenheim

In ogni caso andateci, davvero!

Perché l’architettura esterna da sola merita, perché vuoi non vedere il Puppy? Perché Koons è un geniaccio e perché anche le installazioni che ci sono all’interno lasciano a bocca aperta.

Ma quella che secondo me è la chicca di questa città si trova oltre il fiume, tra le vie del quartiere vecchio.

Casco Viejo

Bilbao potrà anche avere la fama di dura, in realtà è una città che sa avvolgere con un entusiasmo di quelli che in giro non si trovano ad ogni angolo: ha la faccia ruvida, ma l’animo è gentile.

Sì, va bene, ma la chicca?

La chicca è il kalimotxo!

L’ho scoperto bighellonando per le Siete Calles nel Casco Viejo, appunto; ma andiamo con ordine.

Il kalimotxo è 50% vino rosso e 50% coca cola o pepsi (detto così fa brutto, ma fidatevi che merita); lo trovi in doppia taglia, bicchiere piccolo o grande, e il prezzo è sempre ridicolo, che uno il piccolo alla fine lo lascia perdere.

Comunque.

Si beve all’ora dell’aperitivo spiluccando i famosissimi pintxos.

Non esagero se dico che i pintxos sono delle vere e proprie opere d’arte: stuzzichini che riproducono in miniatura i piatti della cucina basca, affollando i banconi delle taverne più frequentate e attirando frotte di golosi (sì, io sono la prima).

Quindi…ir de pintxos!

Che vuoi fare, da quelle parti ti tocca.

La vita notturna a Bilbao inizia così, per le strade ingolfate di studenti, turisti e cittadini baschi, in un mix esplosivo che da solo vale la visita di questa città.

Poca gente in giro @Bilbao

A questo punto lascio un paio di dritte su come arrivarci, che così non avete scuse.

Personalmente, per il volo ho cercato tra i voli low cost su Expedia: cercate di navigare in settimana, ma di giorno, non la sera, che è in questi momenti che si trovano le tariffe migliori (questo vale per il web in generale, provate a farci caso). 

Per l’albergo io generalmente preferisco andare in diretta, soprattutto se si tratta di catene internazionali, e in genere scelgo quelle che non fanno pagare al momento della prenotazione: sai mai che prima di partire trovi l’offerta last minute e fai ancora in tempo a cambiare!

Se non vi ho ancora convinti (ah, l’ente del turismo basco non mi ha sganciato una lira per questo post, diciamolo, è solo che questa città è troppo bella e merita di essere raccontata!) buttate un occhio qui, che le foto sono più brave di me, facile: https://triportreat.it/fotoracconti-2-2/europa/bilbao/

E se poi partite davvero mi saprete dire, che ci conto!

Angel, Kalimotxo & I

The Red Centre parte 3: Kings Canyon

Il tramonto, dicevamo.

Sunset @Kings Canyon

Dalle parti del Kings Canyon (Watarrka è il suo vero nome, il nome aborigeno) ci sono arrivata nel tardo pomeriggio, quando il sole si preparava a levare le tende: vuoi non andare a goderti la vista?

Per lasciare la valigia c’è sempre tempo, certe sfumature di rosso invece non sanno aspettare.
Io nemmeno.
Quindi mollata la macchina ho infilato la passerella di legno e sono andata a godermi lo spettacolo.

Poi via verso la cena!

Ho evitato tutte le proposte suggestive dei depliant vari e mi sono buttata sulla griglieria del Kings Canyon resort: sono uscita che puzzavo di carne peggio di quella che avevo nel piatto e con le orecchie piene di un frastuono che somigliava a musica country mista a vociare alticcio, ma direi che ne è valsa la pena!

Dining @Kings Canyon resort

L’esperienza è di quelle da ricordare, il kebab di coccodrillo e le salsicce di emù pure, anche se ammetto che il mio preferito rimane il canguro (scusate la brutalità, ma ho una certa passione per la carne).

L’incontro col canyon in persona è per la mattina successiva, in grande stile: la scelta ricade sul Kings Canyon rim walk, percorso circolare di quattro ore scarse che ti porta fino alla sommità del dirupo; qualche tentennamento l’ho avuto, visto che il ragazzo del desk al resort si è più volte raccomandato di fare attenzione al vento molto forte, che di appigli non ce ne sono e sono un po’ fatti tuoi.

We can do it.

Bell’incoraggiamento, eh? Vabbè, facciamo finta di non avere sentito.

Ad ignorare i terrorismi gratuiti si fa sempre bene, mi fossi lasciata intimorire da certi scenari apocalittici, mi sarei persa uno spettacolo!

Cammini su, fino alla cima e ti aspetta una vista meravigliosa, che ti senti un microbo in un mondo che mai come in momenti del genere appare grande; fai qualche passo a Lilliput (sì!), in quota, vedi queste strane rocce che punteggiano tutto un tratto del sentiero e scopri che la creatività della natura non ha limiti.

Lilliput

Scendi nel Giardino dell’Eden (no, non sei morto di caldo e fatica, scendi davvero!) e nel mezzo del deserto rosso scopri che ci sono pozze naturali con una vegetazione da fare concorrenza all’Amazzonia.
E la gente ci fa il bagno.

Dipping in the desert

Poi ritorni su e affronti l’ultimo tratto del percorso, quello che ti riporta alla base pieno di mosche, che pare essere tipico da ste parti (non a caso vendono di quei cappelli con retina che mammamia), ma che alla fine ti è andata bene, che visto che ha piovuto non ce ne sono poi tante (da notare che tutto è relativo: per “non ce ne sono tante” si intende che ti riempi completamente, che ti si appoggiano addosso e chi le leva, ma almeno riesci a non mangiarle e son fortune).

It was worth it

Le scarpe sono ormai piene di terra rossa, verrà via? Poco male, tanto si sono aperti anche un paio di buchi: ti chiedi per quanto reggeranno ancora mentre entri in macchina, che Uluru attende.

Let's Uluru!

E anche una sorpresa attende, che ogni tanto una botta di fortuna se la pigliano tutti volentieri!

Viaggi, tatuaggi, pensieri e fotografie di Cabiria, una fissata con l'Asia, che ogni tanto scappa anche a Ovest.