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The Red Centre parte 3: Kings Canyon

Il tramonto, dicevamo.

Sunset @Kings Canyon

Dalle parti del Kings Canyon (Watarrka è il suo vero nome, il nome aborigeno) ci sono arrivata nel tardo pomeriggio, quando il sole si preparava a levare le tende: vuoi non andare a goderti la vista?

Per lasciare la valigia c’è sempre tempo, certe sfumature di rosso invece non sanno aspettare.
Io nemmeno.
Quindi mollata la macchina ho infilato la passerella di legno e sono andata a godermi lo spettacolo.

Poi via verso la cena!

Ho evitato tutte le proposte suggestive dei depliant vari e mi sono buttata sulla griglieria del Kings Canyon resort: sono uscita che puzzavo di carne peggio di quella che avevo nel piatto e con le orecchie piene di un frastuono che somigliava a musica country mista a vociare alticcio, ma direi che ne è valsa la pena!

Dining @Kings Canyon resort

L’esperienza è di quelle da ricordare, il kebab di coccodrillo e le salsicce di emù pure, anche se ammetto che il mio preferito rimane il canguro (scusate la brutalità, ma ho una certa passione per la carne).

L’incontro col canyon in persona è per la mattina successiva, in grande stile: la scelta ricade sul Kings Canyon rim walk, percorso circolare di quattro ore scarse che ti porta fino alla sommità del dirupo; qualche tentennamento l’ho avuto, visto che il ragazzo del desk al resort si è più volte raccomandato di fare attenzione al vento molto forte, che di appigli non ce ne sono e sono un po’ fatti tuoi.

We can do it.

Bell’incoraggiamento, eh? Vabbè, facciamo finta di non avere sentito.

Ad ignorare i terrorismi gratuiti si fa sempre bene, mi fossi lasciata intimorire da certi scenari apocalittici, mi sarei persa uno spettacolo!

Cammini su, fino alla cima e ti aspetta una vista meravigliosa, che ti senti un microbo in un mondo che mai come in momenti del genere appare grande; fai qualche passo a Lilliput (sì!), in quota, vedi queste strane rocce che punteggiano tutto un tratto del sentiero e scopri che la creatività della natura non ha limiti.

Lilliput

Scendi nel Giardino dell’Eden (no, non sei morto di caldo e fatica, scendi davvero!) e nel mezzo del deserto rosso scopri che ci sono pozze naturali con una vegetazione da fare concorrenza all’Amazzonia.
E la gente ci fa il bagno.

Dipping in the desert

Poi ritorni su e affronti l’ultimo tratto del percorso, quello che ti riporta alla base pieno di mosche, che pare essere tipico da ste parti (non a caso vendono di quei cappelli con retina che mammamia), ma che alla fine ti è andata bene, che visto che ha piovuto non ce ne sono poi tante (da notare che tutto è relativo: per “non ce ne sono tante” si intende che ti riempi completamente, che ti si appoggiano addosso e chi le leva, ma almeno riesci a non mangiarle e son fortune).

It was worth it

Le scarpe sono ormai piene di terra rossa, verrà via? Poco male, tanto si sono aperti anche un paio di buchi: ti chiedi per quanto reggeranno ancora mentre entri in macchina, che Uluru attende.

Let's Uluru!

E anche una sorpresa attende, che ogni tanto una botta di fortuna se la pigliano tutti volentieri!

The Red Centre parte 2: la strada per Kings Canyon

Chi come me arriva nel deserto rosso atterrando ad Alice Springs, poi va verso Uluru, il simbolo di un continente intero.

The Red Centre, in the middle of nowhere

Va però detto che ad Uluru non ci si arriva proprio in un attimo, che la strada in Australia non è mai poca: in casi come questi una tappa intermedia ci sta bene e Kings Canyon pare messo lì apposta dall’ente del turismo.

Sono partita di buon mattino da Alice infilando la via delle West Macdonnel Ranges, “West Macs” per chi ha una certa confidenza: spettacolari conformazioni rocciose (rosse, ma che lo dico a fare) tagliate da gole che sembrano quasi artificiali tanto sono precise alle volte.

Driving to West Macs

Si raggiungono velocemente da Alice (fin qui la strada è asfaltata) e sono l’ideale per qualche ora di sano trekking, che non è proprio una brutta idea.

I'm ready for my trekking

Poi però l’asfalto finisce e fino a Kings Canyon quelli che ci si ritrova davanti sono circa 300km di sterrato, che con le loro buche un po’ alla prova mettono: in qualche caso ho anche temuto di lasciarci la macchina.

Quando ci passate, ricordatevi di fare il pieno alla Glen Helen station, ultimo punto di rifornimento sulla strada, perchè se rimanete a secco e dovete aspettare che passi qualcuno…basti sapere che in tutta la giornata io ho incrociato giusto un altro gruppo di viandanti su quattro ruote.

Auguri, quindi.

Glen Helen station

Nel mio caso, tra l’altro, arrivata alla Glen Helen ho trovato una di quelle sorprese che non sai mai bene se ridere o piangere: la sola pompa di benzina esistente sradicata dalla tempesta della notte prima (non ve l’ho più detto, ma il fiume Todd poi è straripato); ho dovuto fare marcia indietro e deviare su Hermannsburg, dove c’è l’unico altro distributore dei dintorni.

Col deserto non si rischia, meglio allungare di 80km (sì, sono questi i dintorni) piuttosto che sfidare il destino, che non è che fai una telefonata e ti vengono a recuperare.

To Kings Canyon

Devo ammettere però che il destino mi ha fatto un gran bel regalo, perché ad Hermannsburg non ci sarei andata, ed è invece lì che respiri l’aria dell’Australia più arcaica, se mi si passa il termine, quella delle origini.
Si tratta infatti di una comunità aborigena dispersa nel mezzo nel nulla, dove pare davvero di essere in un altro mondo.

Non è proprio a portata di mano, ma tenete presente questo paese, che non si sa mai.

E’ da lì che sono poi finalmente ripartita per il Kings Canyon, dove sono arrivata giusto per il tramonto, ma questo ve lo racconto la prossima settimana!