Bangkok

Degli arrivi e di quelle città che si sentono: atterrare a Bangkok

Il primo dei racconti dall’Asia è un racconto di pancia.

Ci sono cose che si vedono e cose che si sentono, e non è solo questione di tirare in ballo i cinque sensi.
Con me bisogna portar pazienza, non sono quella troppo “regolare”, tante volte ci provo anche ad esserlo, ma finisce sempre che quello che sento ha la meglio e quello che vedo si mette in coda.
Tanto per iniziare quindi, non vi racconterò cosa c’è da vedere a Bangkok.

No, perché Bangkok è stato l’inizio violento di un nuovo viaggio, di quei viaggi da fare a piedi nudi, come piace a me.

No shoes please!

Mi sento a casa in quei posti dove non si mettono le scarpe e non sto parlando di spiagge; mi piace sentire la terra sotto i piedi, che schiacciarla è un’altra faccenda, qui c’è in ballo dell’altro.
Bangkok è una città che va sentita, non basta passarci sopra o semplicemente vederla.

Sono partita con in testa l’idea del flaneur moderno che mi ha regalato Osborne col suo “Bangkok”: se non l’avete letto fatelo, è uno di quei libri che lasciano qualcosa da portarsi poi in giro.

“A Bangkok si arriva quando si sente che nessuno ci amerà più, quando si getta la spugna, e a pensarci bene la città è solo questo, il protocollo di una caduta” [cit.]

Uno legge ste due righe e dice: bella roba!
Bella sì, questa frase a leggerla bene è tutto tranne che negativa: più che il protocollo di una caduta a me pare si tratti di speranza.
Di speranza, e anche di una gran fiducia.

Fiducia in chi, verrebbe da chiedersi.
Ma chi se ne frega, mi viene da rispondere, non sarà questo a contare.

Tanto per dire: a Bangkok dietro il tempio indù con le statue di Buddha c’è una chiesa cattolica, e se attraversi la strada entri in moschea.
Chi se ne frega di quel chi, no?

Questione di fede.

Moschea

E’ un posto dove non ci sono regole (una sì, ma la vedremo) e dove il concetto di accoglienza forse è perfino un po’ obsoleto perché di per sé presuppone un’idea di diversità; il fatto è che a Bangkok nessuno è diverso, ciascuno è uguale a se stesso e tanto basta.

Arrivi e se lasci che la città ti annusi è fatta, ti ha preso per sempre e voglio vedere chi ha il coraggio di lamentarsi.
A quel punto non rimane che viverla, e purtroppo non bastano tre giorni abbondanti, non basterebbe un mese, è da quando ho cenato la prima sera con Andrea che lo dico.

Chi è Andrea?

Andrea è l’autoctono d’eccezione di cui parlavo settimana scorsa, vive qui da anni e insieme a Kevin si sono presi l’onere di ospitarmi a casa loro: mi hanno accolta come capita davvero poche volte e quando capita ti chiedi se davvero te lo meriti.

Ci sono solo due regole a casa loro e neanche a farlo apposta guardane un po’ una: bisogna togliersi le scarpe all’ingresso.
Esattamente, e questo non vuol dire che hanno preso le abitudini asiatiche, vuol dire che la loro è una casa da sentire: è stato lì che ho capito di essere arrivata nel posto giusto, due minuti dopo aver varcato la soglia.

barefooting

Di tutti i posti che ho visto (e questa è una delle mie frasi famose) solo due volte ho detto qui ci vivrei: a Sydney e a San Francisco; ecco, forse ora posso aggiungere un terzo nome alla lista.

Sì, dopo così pochi giorni: le cose che si sentono se ne fregano del tempo, da Andrea e Kevin mi sono bastati due minuti, no?

Ok, giuro che per la prossima faccio quella seria e provo anche a dire cosa c’è da vedere in questa città, ma prima ci tenevo a far sapere che secondo me qui a fare la differenza non è quello che si vede, ma quello che si sente.
Pure col naso, eh, che anche lì son tutte sorprese!

12 pensieri riguardo “Degli arrivi e di quelle città che si sentono: atterrare a Bangkok”

  1. Quoto in tutto Respirare Con la Pancia, sono questi gli articoli che più degli altri ti portano lontano anche solo con la mente! L’impatto con una nuova città, le sensazioni provate… sembra di essere con te Cabiria e racconti tutto magistralmente.

    Buon proseguimento! 🙂

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  2. Questo viaggio è iniziato proprio nel migliore dei modi. E col migliore dei post.
    Le sensazioni. Le sensazioni cazzo!

    “Vedere, toccare ed ascoltare
    tutto quello che mi circonda
    e non…

    Emozionare ed emozionarmi,
    solo così mi rendo conto
    che tutto ha un senso…”

    BACI!

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  3. A me piace anche così, anche se non ne scrivi un altro dove dici cosa vedere.. quello che si sente è forse la cosa più importante quando arrivi in un luogo.. l’empatia con un posto, indipendentemente se ha tanto o poco da visitare, è quello che te lo fa amare..

    Continuo anche a condividere pienamente quel pensiero che hai scritto su fb sui travel blogger e forse Andrea (e Kevin) lo hanno dimostrato alla grande..

    Bello, questi primi giorni sono stati un viaggio anche per noi che ti leggiamo, e come ho detto, avete trasmesso tanta voglia di vedere e di scoprire la città in modo diverso, con altri occhi..

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    1. Grazie! È bello avervi in viaggio insieme, è proprio questo l’aspetto che preferisco: la condivisione, che poi è ciò che fa di una community un qualcosa di più, ciò che fa aprire le porte di casa propria.
      È la cosa in più che se non c’è cambia tutto!
      E sono felice che la scelta di questo post sia stata apprezzata, hai colto in pieno lo spirito, non solo dello scritto, ma di una città intera 🙂

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